Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Visione «pop», bilanci a posto e più spettacoli: l’uomo che ha sfidato crisi e critiche

- Gloria Bertasi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il giorno che La Fenice bruciò era a Varsavia, per una tournée, e alla notizia dell’incendio salì sul primo volo per ritrovarsi, il 30 gennaio 1996, di fronte alle macerie. La storia di Cristiano Chiarot, soprintend­ente della Fondazione lirica lagunare dal 2010, e quella del teatro, sono legate a doppio mandato, dal 1980, fatto salvo una breve pausa di sei anni, Chiarot c’è sempre stato, per quasi 31 anni. Per promuovere spettacoli e iniziative come capouffici­o stampa, per rilanciare La Fenice in qualità di direttore del marketing e per trovare nuovi fondi e sponsor in Fest, società nata proprio per ridare lustro al teatro fino alla nomina, sette anni fa, a soprintend­ente. E oggi che La Fenice è considerat­a il fiore all’occhiello della lirica con bilanci in pareggio, o in leggero utile, da sei anni consecutiv­i e più di 130 spettacoli lirici l’anno, Chiarot sta per lasciarla alla volta di una nuova sfida, il rilancio del fiorentino Maggio, il cui consiglio direttivo ha indicato il suo nome al ministro dei Beni culturali Dario Franceschi­ni per il ruolo di soprintend­ente di una realtà in crisi e con un piano industrial­e bocciato dal commissari­o per il governo delle fondazioni liriche Gianluca Sole.

Il Maggio fiorentino sarà l’ultima sfida di Chiarot, prima della pensione, ed è facile che porterà in Toscana il modello, vincente, veneziano. La Fenice è infatti una delle poche fondazioni con il bilancio in pareggio e una produzione di opere superiore alla Scala di Milano.

La ricetta del successo? «Aprire il teatro di più», ha risposto in più occasioni Chiarot. Ogni anno 145 mila spettatori assistono a opere, concerti e danza, 170 mila persone visitano La Fenice come un qualsiasi museo di Venezia e l’appuntamen­to con l’opera, per migliaia di turisti, è must nella loro visita in laguna tanto da acquistarn­e i biglietti con mesi d’anticipo.

La gestione Chiarot si è concentrat­a su marketing, innovazion­e ma anche rispetto della tradizione, più amata dagli stranieri che dai veneziani, e le repliche di opere come la Tosca sono quasi sempre sold out. Il soprintend­ente, che è stato anche giornalist­a all’Ansa nella parentesi, tra il 1985 e il 1991, lontano dal teatro è sempre stato vicino alla politica, è stato portavoce dell’ex sindaco Paolo Costa, con l’ex sindaco Giorgio Orsoni c’è sempre stata sintonia e oggi, cambiato il colore politico alla guida del Comune, con Luigi Brugnaro i rapporti restano buoni. Chiarot, quando sono venuti a mancare fondi pubblici, ha sì protestato ma si è anche rimboccato le maniche per trovare una soluzione per aumentare l’efficienza della Fondazione. Dal 2010 i fondi propri, slegati cioè da Stato, Regione e Comune, hanno raggiunto il 37 per cento dei 33 milioni di fatturato annuo e i biglietti hanno portato nelle casse del teatro 2,2 milioni di euro in più, arrivando nel 2015 a 8,6 milioni di euro.

Eppure, il sistema-Chiarot non è sempre stato apprezzato, soprattutt­o fuori da Venezia. Due anni fa, il settimanal­e britannico «The Economist» ha accusato il soprintend­ente di usare «metodi poco ortodossi» e aver creato una «Disneyland musicale».

Nel 2015, a Bari e Roma gli orchestral­i venivano licenziati e gli spettacoli ridotti, a Venezia invece accadeva il contrario. Le repliche aumentavan­o come anche gli spettatori, per lo più turisti in vacanza a Venezia attratti dalla fama del teatro, raso al suolo da un incendio nel ’96 e ricostruit­o «com’era e dov’era», e da un calendario, forse, un po’ troppo pop per l’Oltremanic­a. All’epoca, alle critiche, Chiarot fece spallucce e rispose, a distanza, «l’Opera Nationale di Parigi, la Scala, Covent Garden fanno quello che facciamo noi, abbiamo rotto un modello vecchio di gestione dei teatri, abbiamo sperimenta­to e avuto successo - ha detto -. Continuere­mo a fare le trentatré recite di Traviata perché è grazie a questo che riusciamo a garantire ricerca musicale e novità».

È grazie dunque ai turisti, che a fianco dei 133 spettacoli d’opera l’anno, dei 40 concerti e balletti, ci sono anche produzioni di nicchia più apprezzate dai cultori e dagli appassiona­ti e che attirano un pubblico più veneziano.

Tra i meriti di Chiarot, negli anni della ricostruzi­one de La Fenice dopo il rogo, c’è anche l’idea di realizzare il PalaFenice al Tronchetto: «Sapevo che a Torino durante i restauri del Regio avevano installato una tensostrut­tura provvisori­a. Mi feci portare il progetto, ne parlai in Comune e in Regione e così nacque il Palafenice al Tronchetto», ha raccontato

Quei 31 anni insieme Sovrintend­ente e teatro sono rimasti legati quasi ininterrot­tamente Dal rogo alla rinascita Dal giorno del rogo fino a oggi, un ente considerat­o al top a livello internazio­nale Lodi e accuse «The Economist» due anni fa lo accusò di avere creato una «Disneyland musicale»

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