Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Una donna e tre storie veronesi nei migliori cento vini d’Italia
Crosara, Verona), testimone della grande crescita che ha avuto il Soave nell’ultimo quinquennio. Michele rappresenta la quarta generazione della famiglia Tessari, che solo all’inizio del secolo scorso coltivava sulla collina delle Rugate «ciliegie, susine, pesche e mandorle. L’uva? In piccole quantità. E veniva venduta».
Poi c’è Marco Sartori, della cantina Roccolo Grassi di Mezzane di Sotto (Verona). Il padre allevava mucche e maiali, poi si dedicò ai vini frizzanti, metodo Charmat, a Soave e in Valpolicella. Marco Sartori, studi a Conegliano e Milano, decide di seguire la linea biologica: «Vogliamo grandi uve e poche bottiglie. Ma di altissimo livello». Per la terza novità rimaniamo sempre a Verona, con Celestino Gaspari, un uomo che ha imparato l’arte del vino da Bepi Quintarelli, «il grande vecchio dell’Amarone», divenuto poi suo suocero. Gaspari è il titolare della cantina Zymé (Mattonara di San Pietro in Cariano, Verona), termine che deriva dal greco e significa «lievito».
Ha ricavato la barricaia da una cava di arenaria, ha recuperato vitigni autoctoni e ha fatto della sperimentazione la sua cifra, a cominciare dall’Amarone della Valpolicella Classico 2009, che è il vino segnalato in guida. In Friuli Venezia Giulia sono confermati rispetto alla guida precedente Benjamin Zidarich, l’uomo della Vitovska nel Carso, Josko Gravner, che nel Collio ha sostituito le botti con le anfore, Elda Felluga, Ferdinando e Mario Zanusso e il loro leggendario Friulano Clivi Brazan. Nel Veneto, oltre alle già citate novità, sono confermati Romano Dal Forno, icona dell’Amarone, Silvano Follador e il suo Prosecco metodo classico, Arturo Stocchetti, presidente del Consorzio Soave e dell’Unione Vini Veneti. una passione inconfessabile: ama i maiali, rinunciando al rapporto d’affetto che gli offre la giovane Ida, innamorata di lui. Simbolo di un disagio esistenziale e di un rifiuto di appartenenza a una società della quale disconosce le regole mettendo a fuoco il marciume su cui si fondano, Julian va incontro a un destino atroce, ma liberatorio: verrà divorato nel porcile dai maiali con i quali è solito accoppiarsi e di lui non resterà traccia. Binasco, che nelle sue regie ama confrontarsi con tematiche spinose, scavando nel profondo delle singole anime e nei meandri della società nel suo complesso, asciuga il testo per metterne in luce i contenuti psicologici e le relazioni umane senza sovrastrutture intellettualistiche.