Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Cliente paga prima», caccia al bagno nei locali
La vescica infuria, la latrina manca, sul ponte sventola bandiera bianca, così canterebbe oggi il Fusinato. Senza aggiungere che è umiliante andare in giro a chiedere il favore di una minzione nella città più antidiuretica...
VENEZIA La vescica infuria, la latrina manca, sul ponte sventola bandiera bianca, così canterebbe oggi il Fusinato. Senza aggiungere che è umiliante andare in giro a chiedere il favore di una minzione nella città più antidiuretica del mondo eppure la più bagnata, la più calcolosa e urbanisticamente ostile alla prostata che uomo abbia mai costruito, così come è la più esposta e la più soggetta agli effluvi urinari di mezzo mondo. Nessun alberello, nessun luogo che si presti. Sembra di farla in salotto. Teniamo duro. Anche perché non c’è Tar o regolamento comunale che ci possa sollevare dall’oppressione pelvica: il testo unico di pubblica sicurezza afferma che i servizi dei bar sono pubblici e gratuiti anche per fare la pipì, di contro alcuni Tar hanno dichiarato privati i bagni dei bar e soggetti alla discrezionalità dei proprietari. Alla fine del nostro giro diuretico, sicuri possiamo affermare che, nonostante quel che si dice, sono pochi i bar veneziani che ti rifiutano il beneficio di una pipì: nella città dei Dogi esiste ed è ancora viva una rimarchevole solidarietà urinaria, elargita con discernimento, soggetta alla cortesia dei clienti e talvolta influenzata dal loro aspetto, ma il diritto all’evacuazione è quasi generale.
Poi dipende. Al Bar Collo, non lontano dai Frari, una famiglia polacca composta da papà, mamma, zia e tre figlioli piccoli, attende che il più grande esca dal bagno. La famigliola è alla terza bottiglia d’acqua: «Conosciamo le regole, devi consumare prima», hanno quindi acquistato la quarta bottiglia nel quarto bar, quattro bottiglie d’acqua per quattro pipì fanno un totale di 16 euro. Questi hanno letto le sentenze dei Tar e si sono adeguati. Non le hanno lette le regole e non le vogliono sapere marito e moglie ukraini poco più in là al Ship’s Bar di Calle Tintoretto. «Tu non pagale, tu non pisciale», «bagno solo pel clienti». La padrona è cinese, una comare che neanche a Hong Kong, incomprensibile quel dice in sino-veneziano, l’altra urla in ucraino ma di entrambi si distinguono i vaffa. Madre e padre con bambino battono in ritirata, «prima mi chiede di consumare e poi posso andare in bagno, poi cambia idea e dice che se non consumo devo dare sempre un euro». La cinese rivendica: «Bar plivato bagno plivato, io ho chiesto consumazione loro detto di no, allora io chiesto un euro, bagno è privato, loro dicono che bagno è pubblico». L’ukraino fotografa col cellulare la cinese, lei gli roteare i pugni in faccia.
Gli ukraini avevano forse la faccia troppo scura e un sentore di zingari, o forse la cinese era più sensibile all’etnia che alle loro necessità biologiche. Ii cinesi sono i primi ad essersi accorti delle disastrose conseguenze derivate dalla scomparsa dei vespasiani. Applicano le impellenze fisiologiche alle leggi della domanda e dell’offerta. In regime di risorse decrescenti la latrina è un bene rifugio. «Sa cosa farei se avessi i soldi? Mi comprerei un bagno pubblico». L’orientale del Bar Giada di Piazzale Roma applica rigorosamente il mercato: «Cliente paga prima».
Bar Dogali Campo dei Fiori, gestrice bianca: «La maleducazione conta per il 99 di quelli che entrano e non chiedono neanche per piacere. Si servono del bagno e se ne vanno come fosse dovuto. Io pago 1.000 ero ogni tre mesi per svuotare la fossa biologica, metto la carta igienica, svuoto i cestini. Perché dovrebbe esser gratis? Nei bagni pubblici pagano un euro e mezzo, qui un bicchiere d’acqua costa 50 centesimi e neanche questi vogliono pagare?»
Chi non capisce proprio la meccanica dei fluidi e pensa che abbia a che fare più con la stupidita è il pakistano del bar Ai do Scalini: «Io mi domando perché certi vanno a prendersi le bibite dei chioschi, lo sanno che lì non c’è il bagno, eppure pagano, poi vengono da noi a chiedere dei servizi». «Mica li posso placcare con il rugby – fa la cameriera – all’uscita dal bagno chiedo se desiderano consumare qualcosa. Al 99 per cento ci riesco, un po’ di imbarazzo e li faccui sentire in colpa».
Dal parcheggio a Piazza San Marco, sul percorso classico indirizzato alle greggi turistiche, la distanza e inversa alla solidarietà umana. Elegantemente qualcuno ha messo la serratura elettronica nella porta dei bagni. Al Bar dell’autorimessa di Piazzale Roma sono andato diritto alla porta del bagno e il barista mi ha fermato ma solo per dirmi di aspettare e di avere pazienza «perché dentro c’erano già tre avventori». E se non consumo posso lo stesso? Dico io. «Certo, cosa vuole, se dovessi guardare tutto sarei qui a litigare tutto il giorno, premo il pulsante e apro la porta solo per regolare la ressa».
Pisciata gratuita o dietro consumazione? Il vigile in piazza non si ricorda di essere mai stato chiamato a risolvere una questione del genere, e non se lo augura: «I regolamenti dicono tutto e il contrario di tutto, ho provato anche su Internet – dice - è non se ne capisce niente». Solo i soldati in pattuglia antiterrorismo sona garantiti, sanno dove farla ma non possono dirla, «non nei bar in ogni caso, ci è vietato».
Il barista Svuotare la fossa mi costa mille euro ogni tre mesi, poi c’è la carta igienica La cameriera Li intercetto all’uscita: vuole consumare qualcosa? Si sentono in colpa e ordinano