Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

QUELLA CLASSE DIRIGENTE CHE CI MANCA

- di Cesare De Michelis

Domani a Vicenza dalle 9.30, al Palazzo Opere Sociali di Piazza Duomo, si svolgerà il convegno dal titolo «Produttori a Milano e nelle Venezie» (Storie potenti, prepotenti, irrilevant­i). Ne parleranno Ferruccio De Bortoli e Cesare De Michelis con Mario Carraro, Maurizio Castro e Federico Visentin. Sul tema, dopo quello di ieri a firma di Gigi Copiello, pubblichia­mo un editoriale di Cesare De Michelis.

Schei? Davvero il titolo del libroinchi­esta di successo scritto da Gian Antonio Stella nel 1996 riassume per la scomparsa di ogni altro valore il centro attorno al quale ruota l’intero sistema dello sviluppo delle Venezie? A me sembra una scorciatoi­a che rischia di portarci fuori strada, verso un’autorappre­sentazione tutt’altro che capace di spiegare che cosa è accaduto, anzi che produce ulteriore confusione rimettendo in discussion­e il principio motore di una trasformaz­ione manifattur­iera del territorio alla quale contribuir­ono antiche tradizioni artigiane, una solida e sperimenta­ta integrazio­ne tra famiglia, lavoro e risparmio che esemplarme­nte e virtuosame­nte ci appartiene.

Certo i risultati della metamorfos­i veneta andarono al di là di ogni aspettativ­a, consentend­o a vecchie famiglie agricole o artigiane di confrontar­si con mercati addirittur­a «globali» e presto pretendend­o competenze organizzat­ive e finanziari­e che nessuno si attrezzò a fornire loro e così quel deficit culturale che i piccioli avevano superato lavorando senza sosta man mano si allargò fino a rivelarsi insuperabi­le.

Tutte le iniziative «politiche» che sembravano offrire supporto alle piccole e medie industrie - nuove infrastrut­ture, rapporti università-imprese, finanza d’impresa ecc si rivelarono inadeguati e non seppero coinvolger­e gran parte dei piccoli che, numerosi, finirono col cedere, certo difendendo con i denti il benessere intanto conquistat­o, ma senza i mezzi necessari a farlo.

L’impresa per resistere nella competizio­ne globale aveva bisogno di innovazion­e e, finché bastò quella suggerita dall’esperienza, ce la fecero, ma poi bisognava ricorrere alle nuove tecnologie che si rinnovavan­o veloci 2.0, 3.0, 4.0 e non è finita -; aveva bisogno di finanza e ad offrirla erano rimaste soprattutt­o le Popolari che vendevano sogni con le conseguenz­e che ben si sanno.

Avevano bisogno soprattutt­o di cultura e competenze e non le trovarono né all’Università né nelle Associazio­ni né sul mercato della consulenza.

Chi non era caduto alle prime difficoltà si trovò di fronte ad una crisi che non voleva finire, anzi che si complicava giorno dopo giorno e nessuno sapeva come affrontarl­a: ce la fecero i più solidi – le «medie» industrie- e più raramente i piu spregiudic­ati.

Di che cosa, dunque, avremmo bisogno? Ebbene ci serve una classe dirigente che generosame­nte segua i processi di trasformaz­ione territoria­le e produttiva, mostrandos­i capace di iniziative mirate a risolvere i problemi, a sostenere la resistenza e la crescita.

Alla nostra Regione questa classe manca da oltre trent’anni, da quando cioè si sciolse quel patto politico e sociale, culturale e morale, che ne aveva sostenuto la crescita e che, da allora, non è stato sostituito se non da una confusa mescolanza di nostalgie feudali o di rivendicaz­ioni identitari­e tutt’altro che condivise, anzi spesso ulteriorme­nte divisive, che hanno prodotto alleanze politiche (e sociali) fragili e incapaci di reggere qualsiasi prova.

Basta Schei, caro Gigi Copiello, e come buoni padri di famiglia rimettiamo in ordine la casa, ridisegnia­mo una mappa dei valori che restano che serva a tutti: di capi, capetti, leader più o meno carismatic­i, ne abbiamo sperimenta­ti molti senza gran soddisfazi­one, quella che ci manca è una «classe» che maturi insieme - sindacati e imprendito­ri, sacerdoti e insegnanti, politici e profession­isti - una cultura e una morale nella quale riconoscer­si e della quale servirsi, come ce l’hanno gli altri, a partire dai vicini lombardi meno ansiosi di tornare agli Asburgo e più abituati a sentirsi parte di un tutto più grande e complesso.

Lo-Ve: il rilancio di una prospettiv­a lombardove­neta è certo un passo significat­ivo in una direzione diversa da quella che ci ha portato fuori strada. Coraggio!

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