Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Perde il lavoro, incubo in famiglia
Botte, insulti e minacce a moglie e figli, poi anche lo stalking: condannato
CONEGLIANO Un matrimonio durato più di vent’anni e finito con botte, insulti e minacce pesantissime: «Ti brucio», «Ti ammazzo», «Ho amici in Albania che possono farti sparire». Una storia d’amore trasformatasi in un incubo di maltrattamenti, stalking e lesioni per una cinquantenne di origine albanese. Il suo aguzzino era il marito, coetaneo e connazionale, che ieri è stato condannato con rito abbreviato a un pena di 1 anno e 8 mesi.
In Italia la coppia sembrava avere trovato stabilità e un futuro per sé e per i figli. Insieme i due, molti anni fa, avevano lasciato il Paese d’origine e si erano stabiliti nel Coneglianese. Entrambi lavoravano, hanno cresciuto i figli che, oggi maggiorenni, hanno il loro impiego. Una famiglia serena, fino a poco più di un anno fa, quando il 50enne si è ritrovato disoccupato per il fallimento dell’azienda nella quale lavorava. Ha provato ad arrabattarsi con lavoretti saltuari nei mercatini, ma la precarietà ha reso i rapporti in famiglia più tesi. E sono cominciate le liti, via via sempre più violente.
L’uomo avrebbe iniziato a maltrattare la moglie e i figli, prima verbalmente, poi passando alle vie di fatto. Non erano pestaggi veri e propri, ma spintoni violenti che in più occasioni hanno fatto finire a terra la donna e anche i ragazzi che intervenivano per aiutarla. «Sei una puttana, so che mi tradisci», era la principale accusa dell’uomo, che sospettava un’infedeltà della moglie la quale, a suo dire, avrebbe avuto una relazione con un uomo che qualche volta passava da casa loro. Accuse sempre respinte dalla 50enne e per le quali il marito non ha mai avuto prove. Ma non gli servivano, ne era convinto e per questo avrebbe maltrattato la donna.
Fino al culmine, il 9 novembre scorso, quando durante l’ennesima lite l’avrebbe spinta a terra, provocandole una lesione all’anca, e avrebbe poi sfogato la sua rabbia sui figli corsi in soccorso della madre. A quel punto la donna ha detto basta e l’ha denunciato. Il 50enne è stato quindi allontanato da casa ed è andato a vivere dal fratello. Ma non si è calmato, anzi. Proprio in questo frangente sarebbe iniziato lo stalking, con continue visite a casa e telefonate minatorie: «Ti ammazzo. Ti brucio», «Conosco persone in Albania che possono farti sparire». In un’occasione, avrebbe anche litigato con il figlio incontrato in centro città, arrivando a spintonarlo fino a farlo cadere a terra. Poco dopo l’uomo è tornato in Albania, ma intanto il tribunale aveva emesso nei suoi confronti un ordine di allontanamento, che gli è stato notificato 2 mesi dopo, al suo rientro in Italia. Tutto inutile: poche ore dopo essere sceso dall’aereo, il 50enne era di nuovo sotto casa della moglie e per questo è finito in manette. Tuttora in carcere, il marito è comparso ieri davanti al gup Bruno Casciarri per essere giudicato con rito abbreviato, condizionato al suo interrogatorio.
Assistito dall’avvocato Stefano Pietrobon, l’uomo ha ammesso le sue responsabilità, negando però di avere minacciato la moglie. La procura ha chiesto una condanna a 2 anni e 10 mesi, il gup lo ha condannato a 1 anno e 8 mesi, senza sospensione, e si è riservato sull’istanza di scarcerazione presentata dal difensore.
La pena 20 mesi senza la condizionale