Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Moretti Polegato junior, lezione all’università «Salvataggio Diadora: identità e reshoring»
PADOVA Avevano calzato i piedi del campionissimo del tennis Björn Borg e dei calciatori Roberto Bettega e Giuseppe Gentile, ma anche di tanti atleti della pallacanestro, della pallavolo, del pugilato, dell’automobilismo e di tanti altri sport. Le scarpe Diadora erano un «brand globalizzato», ancora quando questi termini non erano nell’uso comune.
Poi, due passaggi proprietari per la società, da «Invicta» alla «Seven,» la crisi finanziaria e infine l’acquisto da parte della montebellunese Geox. Da allora, dopo anni di difficoltà la Diadora, azienda di Caerano San Marco (Treviso), è tornata a ruggire.
Con un occhio all’innovazione e l’altro all’identità. Della rinascita si è occupato Enrico Moretti Polegato, presidente e ad di Diadora, figlio di Mario, mister Geox. E ieri ne ha parlato agli studenti di Strategia d’impresa del professor Giovanni Costa alla facoltà di Economia dell’università di Padova.
«Siamo partiti con una quarantina di dipendenti - ha raccontato il presidente - tutti della società originaria. Nel 2009 l’azienda aveva un giro di affari di circa 70 milioni di euro mentre l’ultimo fatturato aggregato (relativo all’esercizio 2015 e comprensivo delle entrate da licenze) era a quota 261. Tolte le licenze, quello consolidato aveva comunque raggiunto i 132 milioni, con un aumento del 17% rispetto all’anno precedente. Ora l’azienda si avvale di 200 collaboratori, con un’età media di 36 anni».
Sono bei numeri. «La prima cosa da fare - continua Moretti Polegato - era quella di identificare i valori del brand e di rilanciare il marchio. Anzitutto abbiamo definito la nostra identità, legata a doppio filo allo sport. Poi abbiamo pensato alla nostra storia, un patrimonio che garantisce l’autenticità del prodotto. Noi recuperiamo anche modelli passati, ma che sono “veri” nel senso che sono stati realmente prodotti».
Continua il presidente: «Inoltre, abbiamo dato grande importanza all’innovazione, che non deve consistere in un brevetto astratto, ma costituire una realtà tangibile: l’atleta deve sentirsi meglio e ottenere prestazioni migliori. Oggi produciamo scarpe in grado di adattarsi perfettamente al piede, anche superando problemi di pronazione e supinazione (poggiare il piede troppo verso l’interno o l’esterno, Ndr). Altro elemento forte è stata l’affermazione dell’italianità, con il reshoring (il ritorno, il fenomeno opposto alla delocalizzazione, Ndr) della produzione in patria. Oggi a Caerano San Marco si produce il top di gamma, cioè un’edizione limitata di pregio. L’obiettivo è arrivare entro l’anno lì a 100 mila paia e nei prossimi tre a coprire il 7-10% della produzione totale dell’azienda».
Quanto alla politica sulle licenze «per noi è un’attività residuale - chiarisce il presidente Le scarpe sono prodotte su nostra licenza all’estero in Paesi molto lontani, come l’Australia o per venire incontro ad attività sportive poco diffuse da noi come il badminton, in Indonesia lo sport nazionale».