Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Vent’anni fa l’assalto al campanile e Ciambetti «onora» i Serenissimi
Venetisti in fermento, il Pd prende le distanze: «Passatismo»
VENEZIA «Mai desmentegare!». Con questo motto, circolato in Rete e sui social network, venetisti e indipendentisti si sono dati appuntamento ieri sera, attorno alle dieci, in piazza San Marco, sotto il campanile. Quella appena trascorsa, infatti, non era per loro una notte qualunque: tra l’8 e il 9 maggio di vent’anni fa - era il 1997 - il manipolo composto da Gilberto Buson, Cristian e Flavio Contin, Antonio Barison, Luca Peroni, Moreno Menini, Fausto Faccia e Andrea Viviani diede l’assalto al parón de casa a bordo del celeberrimo tanko, «vendicando» così la caduta della Repubblica di Venezia ad opera dei francesi avvenuta duecento anni prima. Un episodio diventato un caso nazionale (anche per via dell’incursione piratesca sulle frequenze Rai), conclusosi con condanne pesanti per i protagonisti poi entrati nel mito degli indipendentisti, che ancor oggi guardano agli otto Serenissimi, e al loro ideologo Bepin Segato, come ad eroi della causa secessionista.
La commemorazione organizzata ieri, in modo spontaneo, si inserisce però in un contesto più generale di nostalgie e revanscismo venetista che coinvolge anche la Regione e cioè la massima istituzione del Veneto, guidata da Luca Zaia. Venerdì mattina, infatti, si terrà un consiglio straordinario a Palazzo Ferro Fini dedicato proprio al ricordo del «Tremendo Giorno» (lo stesso che ispirò i Serenissimi), quel 12 maggio del 1797 in cui l’ultimo doge della Repubblica di Venezia, Ludovico Manin, e il Maggior Consiglio, ammainarono la bandiera col leone marciano per lasciare il posto al vessillo francese delle truppe napoleoniche. E a nessuno sfugge il valore che queste iniziative assumono alla luce del referendum autonomista che la Regione si appresta ad organizzare per il 22 ottobre prossimo, con queste parole del presidente Zaia: «Roma è il nemico, finalmente torneremo ad essere paroni a casa nostra» (e pure qui c’è un gioco di specchi con le date, perché il 22 ottobre del 1866 si celebrò il plebiscito che sancì l’annessione del Veneto al Regno d’Italia). Infine, giova ricordare che il 25 aprile scorso alcuni consiglieri di maggioranza erano presenti all’ormai abituale raduno indipendentista in piazza San Marco coincidente con la festa del patrono dei Venezia e molti altri almeno a giudicare dai loro profili social - erano idealmente assai più vicini a quell’appuntamento che a quello della Liberazione dal nazifascismo pure allestito in molte piazze del Veneto.
Con questo clima, colpisce dunque fino a lì la dichiarazione diramata ieri dal presidente del consiglio Roberto Ciambetti in ricordo dell’assalto al campanile, dal tenore se non proprio innocentista, sicuramente perdonista: «Rappresentando i sentimenti di molti, l’impresa fu per i suoi ideatori un atto romantico, un gesto di rivendicazione identitaria, un atto politico non violento. Non si possono dimenticare la dura reazione e il processo che seguirono, la diffusa solidarietà che spinse molti veneti a stringersi attorno ai Serenissimi e il fatto che Segato, condannato con rara severità, s’ammalò in carcere per morire pochi mesi dopo aver scontato la sua condanna. Ancora oggi nella memoria è vivo il ricordo di quelle ore, c’è molto da riflettere».
Di avviso diverso il capogruppo del Pd, Stefano Fracasso: «Sugli aspetti giudiziari non c’è nulla da aggiungere, ha già detto tutto la magistratura. Quanto al significato politico, fu un gesto isolato che nulla ha a che vedere con quel che era ed è il Veneto, la cui identità è semmai rappresentata dalle piccole e medie aziende che si proiettano nel mondo. C’è veneto che chiede futuro, interdipendenza e non indipendenza, Europa e interpreta l’autonomia come responsabilità ed efficienza. Questo venetismo passatista mi pare fuori luogo e fuori tempo».