Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La siccità fa scoppiare la guerra dell’acqua tra Veneto e Trentino
VENEZIA Piove da giorni ormai, eppure il livello dell’Adige a Boara Pisani, nel Rodigino, viene costantemente tenuto d’occhio dall’assessore regionale all’Ambiente Giampaolo Bottacin. Un po’ perché quello è il luogo dove la crisi idrica del Veneto si è vista plasticamente con le idrovore spiaggiate e un’auto scomparsa nel fiume ben otto anni fa riaffiorata nel greto asciutto insieme al corpo del povero guidatore. Ma soprattutto perché è da Pasqua che il Trentino ha aperto i propri bacini montani per far scorrere l’acqua dei laghi al ritmo di 80 metri cubi al secondo fino a valle però sta sempre con la mano sul rubinetto. «C’è massima collaborazione e un ottimo rapporto col Veneto – assicura l’assessore della Provincia Autonomia di Trento Mauro Gilmozzi - Non voglio chiudere i bacini montani ma dico che hanno una durata e quando le vasche sono vuote… Si sta raggiungendo il limite fisico del rilascio. Fortuna che è venuta la pioggia». «Gilmozzi dice di non capire dove sia finita l’acqua che hanno rilasciato in più nelle scorse settimane dato che il Veneto non ne avrebbe tratto giovamento – ribatte Bottacin - Posso fornirgli i grafici certificati dell’Arpav che dimostrano che a fine aprile la portata nell’Adige a Boara Pisani, dove avevano dovuto chiudere l’acquedotto per la siccità, era salita da 20 a 1110 metri cubi al secondo. Ecco dov’era l’acqua: usata per consentire alla gente di bere e lavarsi». Insomma, se non è guerra dell’acqua, ci manca tanto così.
Dal lago idroelettrico di Santa Giustina, nel Trentino, stanno arrivando 80 metri cubi al secondo, la portata minima per evitare il «cuneo salino». Che non è altro che la testa d’ariete del mare che risale il corso dei fiumi quando il loro flusso è troppo intorpidito dalla siccità: nei giorni più aridi della primavera, dal 10 al 28 aprile, l’acqua salata era arrivata a 12 chilometri dalla costa. Inutile dire che è una disgrazia per l’agricoltura. I campi, comunque, non possono attingere ai corsi d’acqua perché il Veneto ha dichiarato la crisi idrica e convogliato la poca risorsa disponibile negli acquedotti. I terreni devono accontentarsi della pioggia e l’acqua in più che scorre nell’Adige (ieri a Boara c’erano 115 metri cubi al secondo), finisce in mare. Ecco perché l’insinuazione ha fatto infuriare Bottacin: «Se chiudono i bacini, se vedo che il livello a Boara Pisani scende, chiedo allo Stato di intervenire», ha tuonato. E tanto tuonò che piovve perché poco dopo la riunione dell’Osservatorio per le crisi idriche istituito dal ministero dell’Ambiente con le tre Regioni interessate (Veneto, Trentino, Alto Adige), i consorzi di bonifica e le autorità di bacino, l’unione dei consorzi veneti ha messo i puntini sulle «i». «Che il sistema agricolo veneto non venga additato come quello che ha consumato l’acqua del Trentino», ha scandito il direttore di Anbi Veneto Andrea Crestani.
La crisi idrica la descrive il rapporto Arpav aggiornato pubblicato ieri: nonostante le piogge, l’apporto è inferiore del 28% rispetto alla media: significa 8.140 milioni di metri cubi d’acqua in meno. Se Livenza, Tagliamento, Piave, Lemene e Sile si sono ripresi, sono ancora in deficit Po, Adige, Brenta e il bacino scolante della laguna di Venezia. «Resta la situazione di attenzione perché non ha nevicato in montagna e le falde sono ai minimi – spiega Italo Saccardo, responsabile del servizio idrologico di Arpav - Il Trentino ha aperto i bacini ma anche loro acqua non ne hanno: sarebbe stato opportuno risparmiarla, come è stato fatto in Veneto, invece di turbinarla». Significa che l’acqua in Trentino è stata usata per produrre energia elettrica, invece i serbatoi di Piave e Brenta sono pieni perché l’Enel ha deciso di sospendere la produzione idroelettrica in Veneto. «Loro l’acqua l’hanno consumata per l’energia – esclama Bottacin – Hanno messo davanti la produzione di energia rispetto all’uso idropotabile, quando la legge dice esattamente il contrario». La legge è la 152 del 2006 che all’articolo 167 dice che la preminenza nell’uso dell’acqua va data in primo luogo a quella da bere, poi all’agricoltura e poi a tutto il resto. «Ecco perché il Trentino non può chiudere i bacini – continua l’assessore veneto all’Ambiente – Uno perché c’è la legge, due perché così si è deciso al tavolo per l’emergenza. Anche se non vogliono: a Pasquetta ci siamo visti e anche allora non volevano». «Ma no, c’è massima collaborazione – ribatte Gilmozzi- Ci sono milioni di motivi per cui l’acqua che rilasciamo non ha ancora risolto la situazione in Veneto. Magari un suolo arido che ha assorbito. Le turbine? Il livello di utilizzo è fatto sulle stime delle precipitazioni e in ogni caso dà un apporto molto limitato».
«L’Adige è sempre stato generoso, se la risorsa è stata depauperata è perché il Trentino non l’ha invasata e il Santa Giustina al 15 aprile è arrivato al 16% delle sue capacità: quasi vuoto. Fortunatamente l’osservatorio contribuisce a migliorare i rapporti e le conoscenze tra Veneto e Trentino», nota Crestani. L’ultima volta che il fiume andò così in secca fu nel 1922, oggi la causa sono i prelievi e l’uso idroelettrico. L’ammodernamento della rete irrigua può fare molto, metà dei 200mila ettari di superficie agricola veneta sono già stati riconvertiti ma per completare l’opera servono 10 milioni di euro per ogni mille ettari. Una pioggia di soldi.
Bottacin Il Trentino non può negarci l’acqua dei laghi: serve per bere