Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Isabella Noventa, al via il processo ai fratelli Sorgato e Manuela Cacco
PADOVA Il giorno tanto atteso è oggi. Stamattina, quando l’orologio dell’aula della Corte d’Assise di Padova (prestata per l’occasione ad un processo in abbreviato) batterà le 11, si aprirà il processo a Freddy Sorgato, la sorella Debora e la tabaccaia Manuela Cacco: il «malefico trio» – come qualcuno lo chiama sul web, nei tanti forum di discussione – accusato dell’omicidio e della sparizione nel nulla di Isabella Noventa, la segretaria di 55 anni di Albignasego uccisa la notte tra il 15 e il 16 gennaio dell’anno scorso e mai più ritrovata. Ed è da lì, da quella sera e dalla cena che Freddy aveva avuto con Isabella – allora sua fidanzata - alla pizzeria Est Est Est di Lion di Albignasego che partirà il pubblico ministero Giorgio Falcone nel ricostruire un anno e rotti di indagini in cerca di una corpo (quello di Isabella, che non c’è) di un’arma e di un movente (anche loro latitanti) tale da giustificare quello che secondo l’accusa era una trama ordita alla perfezione. Soldi? Gelosia? Tradimenti?
C’è tutto e il suo contrario nella vicenda tragica di quella notte da romanzo giallo, dove il destino si è divertito a mischiare e rimischiare le carte e perfino la ricerca dell’alibi perfetto si è trasformata in una lama a doppio taglio, tale da incastrare chi invece cercava la via di fuga per la porta principale. Omicidio volontario premeditato, sottrazione e soppressione del cadavere di Isabella oltre allo stalking e simulazione di reato contestate solo alla tabaccaia Manuela Cacco, da sempre amante di Freddy e da sempre gelosa della sua fidanzata ufficiale, Isabella, fino al punto di renderle la vita impossibile con bigliettini, sms e chiamate. Ma è su quella notte di inizio gennaio di più di un anno fa che si concentrerà il duello tra la requisitoria del pm e le arringhe delle difese. Secondo l’accusa i fratelli Sorgato e la tabaccaia Cacco – che ora rischiano l’ergastolo avrebbero giocato ruoli precisi nel canovaccio che ha avuto come ultimo capitolo l’omicidio della segretaria, «nel progettare un piano finalizzato ad inscenare che Isabella fosse uscita viva» da casa di Freddy «e si fosse allontanata volontariamente per ignota destinazione». Non è importante quindi per l’architettura dell’accusa chi abbia colpito Isabella, chi l’abbia strangolata o altro. Ogni cosa era organizzata nei minimi dettagli, persino la messinscena del giubbino bianco, l’ormai famosa passeggiata della tabaccaia per il centro di Padova a dimostrare che Isabella doveva raggiungere un’amica. Ma Isabella era già morta, come aveva raccontato Manuela Cacco agli inquirenti. «Mentre Isabella e Freddy erano a cena, io li aspettavo a casa di mio fratello come avevo concordato con Freddy. Lì poi ho ucciso Isabella colpendola due volte alla testa con una mazzetta. Poi le ho messo un sacchetto in testa per non sporcare», avrebbe confessato Debora all’amica Manuela che, a suo dire ignara di tutto (ma sul punto il pm non le crede), sarebbe arrivata a casa di Freddy intorno a mezzanotte e tre quarti. E Freddy e Debora? Niente: un muro di gomma contro cui rimbalzavano accuse, commenti, ricostruzioni e ha fatto la stessa fine anche l’invito della procura di farsi interrogare. Da loro solo due frasi con il camionista-ballerino che dopo l’arresto si giustifica ammettendo che Isabella «è morta durante un gioco erotico, poi spaventato ho buttato il corpo nel Piovego» e la sorella Debora che taglia corto: «Non ho mai fatto del male a quella signora».