Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Manzon, l’immaginario diventa reale
L’autrice friulana pubblica «La nostalgia degli altri». Un triangolo amoroso tra lui, lei e la voce narrante. Un doppio gioco in cui l’esistenza viene contrapposta all’inconsistenza
Strano triangolo amoroso quello che lega Lizzie ad Adrian e alla voce narrante in una relazione di affetti e di desideri che si esprime soprattutto attraverso le parole, come se superare il valico che le distingue dalla realtà fosse a un tempo troppo semplice e troppo rischioso, tuttavia il mondo delle parole resiste irrimediabilmente astratto e imprevedibilmente definito aldilà delle nostre stesse intenzioni, come accade appunto in letteratura, dove un altro mondo acquista forma e poi cresce in un’altra realtà sempre più difficilmente riducibile alla prima, secondo un intreccio che ci lega e imprigiona senza scampo.
Federica Manzon si avventura spavalda in un sorta di universo metaletterario che continua a interrogarsi su se stesso e poi sui rapporti tra invenzione e realtà, attenta a non smarrirsi in questo labirinto, e, non contenta, parallelamente si confronta con il ritratto di una generazione che intanto si è smarrita davvero e si agita inquieta, cercando un modo «autentico» di essere, un punto di riferimento che ogni volta si rivela più fragile e inconsistente di quanto sperava.
Non è facile riassumere un intreccio che è già diventato un groviglio, ma percorrendo le tappe di un amore che non c’è e forse non c’è mai stato, o le altre di un amore che c’è e c’è stato, senza tuttavia poter essere vissuto, o, infine, i ricordi di quello che soltanto abbiamo sperato o sognato, ripercorrendo in ogni caso tutto quanto si è scritto, oppure soltanto si è detto, abbiamo l’occasione di esplorare il disordine universale nel quale siamo precipitati senza accorgercene, perdendo i caratteri della nostra identità, ma anche liberandocene ribelli.
A raccontare ovviamente è il terzo, che dall’esperienza d’amore è escluso, condannato a restarne spettatore e, ciò nonostante, sempre in attesa di rientrare in gioco, niente affatto oggettivo, anzi malizioso e intrigante sin quasi alla meschineria; eppure l’antagonista non è certo da meno nella sua reticenza spudorata e ambigua sino alla menzogna, né Lizzie, «maliziosa e irresistibile», è più spontanea o sincera, pronta ogni volta a riprendere da capo il gioco di una corrispondenza che sembra non avere altro scopo che rinviare l’incontro diretto, che poi quando accade, e se accade, poco vale a chiarire le cose.
«Niente è mai accaduto, una volta raccontato», sentenzia in epigrafe Javier Marías, vivere o scrivere si sono domandati ossessivi gli scrittori del secolo scorso; l’equivoco comincia con le parole che si fermano sulla pagina lasciando tracce indelebili: come credere loro, ma anche in che modo smentirle; non c’è via d’uscita che ci salvi dalla menzogna, tanto meno nella società dell’Acquario, dove si inventano universi virtuali «più reali del reale», che è quella per la quale lavorano i ragazzi del romanzo, immaginatori o visualizzatori che siano.
Raccontare rende reale l’immaginario, «raccontare è meglio che vivere», questa è una storia «sul potere delle storie e la manipolazione», non si riesce più a distinguere «tra le realtà immaginarie che produciamo... e la nostra stessa mancanza di vita», perché realtà e finzione «non devono parlarsi» altrimenti «il potere dei fatti renderebbe superfluo il raccontare e inutile la fantasia».
Le storie, insomma, «salvano la memoria di quello che è già scomparso. Non importa che non ci sia niente di vero in ciò che raccontiamo», non si scrive, quindi, per capire o per far luce, ma «per avere indietro ciò che ci appartiene e ci è stato portato via ingiustamente, ciò che è nostro per prossimità e intesa».
Federica Manzon ha scritto un libro sul perché si inventano storie in un mondo che non ne ha più bisogno, giacché tutte sono depositate nello sconfinato archivio delle memorie, ma per altro verso non può farne a meno, perché non sa più come fare a distinguere il vero dal falso, il reale dal virtuale, il bene dal male, e ha un terribile bisogno di reimparare a farlo.