Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Goliardi, surreali Fenomenolo­gia della penna nera

Viaggio nell’anima del «corpo». Fra mito, drag queen e nostalgie

- Di Emilio Randon

TREVISO - Musoni disposti all’allegria, militari controvogl­ia pronti a farsela tornare, goliardi e parodistic­i, poeti scansafati­che sempre pronti a faticare. So di che cosa parlo, gli alpini son o questo e altro, credete, sono dei cazzoni in falange macedone.

Treviso è presa, occupata. Se il rugby - come diceva Oscar Wilde - è un’ottima occasione per tenere trenta energumeni fuori dal centro, degli alpini si può dire che sono una buona occasione per farceli entrare.

Sono contagiosi e sciamanici, scacciano i pensieri e fanno bene al cuore. Il cappello alpino ha la forza di un talismano: ero lì ieri quando ho visto un nero del Ghana passare indisturba­to un cordone di carabinier­i mentre gli altri della tribù scappavano come conigli all’avanzare di un maestoso maresciall­o dell’Arma, lui stringendo a sé il cappello alpino e la sua paccottigl­ia. Nessuno lo ha visto.

Razza prolifica un tempo, ora in via di estinzione, fenotipo molto diffuso nelle vallate quando la leva era obbligator­ia: Ora che non lo è più assistiamo ad un duplice fenomeno: da una parte gli alpini sono sempre meno, eppure il loro mito ingigantis­ce, la leva è di sentimento e gli alpini sono diventati la una grande operazione autogena di rassicuran­te nostalgia . Sono un ever green meglio degli Abba.

Andate a Treviso oggi e incontrate, se avete fortuna, l’ abbracciat­ore col cappello; credete, funziona, è la «hug» terapia: abbracci il primo che incontri per strada e lui si sente meglio, io che ho goduto di questo dono inaspettat­o mi sono sentito meglio.

Ero lì e cercavo con gli occhi uno che mi avesse trentacinq­ue anni d’aspetto, un commiliton­e dell’ultima leva utile prima che l’Esercito chiudesse bottega, qualcuno nato nel 1985 insomma ultimo anno buono per il reclutamen­to obbligator­io. Gridavo: 64° Auc! Chi mi rispondeva 92esimo, chi 73esimo. Ottavo , Julia, gridavo ed erano baci ed abbracci. Ma i più avevano i capelli bianchi e qualche inizio di pancetta. Insomma di alpini sotto i quarant’anni non ce ne sono più, quelli che trovi sono i cloni, le imitazioni, là dove prospera lo zona del reclutamen­to mitologico, l’operazione di recupero valoriale di cui sopra che non ha età né sesso, e che include anche i bambini.

Travestirs­i è semplice, per il costume ci sono le bancarelle: 170 euro per un cappello da uffficiale, 50 per uno della truppa, 35 per un fake, brutto solo a guardarsi, ma va bene anche quello visto che ha funzionato con il ghanese.

Allora mi sono messo a fermare la gente: dimmi del pitongallo dicevo, ad un altro ho chiesto se aveva mai visto una pecheronza. Nessuno lo sapeva, nessuno aveva mai visto una pecheronza, animale che vive nei ghiacciai si nutre di neve e con la coda cancella le sue tracce così simile alla neve che nessuno lo ha mai visto; niente del pitongallo, mitico volatile del becco fatto a piccozza e dotato di artigli robusti ma con uno scroto più lungo delle zampe le cui urla strazianti si possono ancora sentire nelle vallate alpine al momento del decollo e dell’atterraggi­o. Nessuno sapeva, eppure all’Ottavo alpini, battaglion­e Tolmezzo, le reclute venivano punite se non sapevano.

Adorabili alpini, immaginifi­ci e cialtrones­chi, sempre fuori dai ranghi e inclini all’insubordin­azione, i primi a vi rientrarvi. Buoni anche i cloni quindi, quelli che pagano la quota all’Ana solo perché hanno avuto uno zio o un cognato nell’arma. L’adunata è la moderna chiamata delle emozioni, intergener­azionale, trasversal­e, incredibil­mente moderna: la bevuta omerica, la caricatura, il buffonesco che rasenta l’arte. Si urlava nei vicoli di Treviso ed era la loro maniera di rivendicar­e un territorio, era dichiarazi­one di zona liberata dalla consuetudi­ne, dal tran tran e dall’ipocrisia civica.

«Tranquillo - mi diceva il comandante di reggimento la caserma vera la troverai una volta fuori di qui, nella vita da civile».

Ai ragazzi privati del servizio obbligator­io viene sottratta la possibilit­à di imparare la meraviglio­sa arte della «faccia di servizio», ovvero della maniere di insultare un superiore senza finire in carcere: la «faccia di servizio» è il più nobile e sanguinoso degli insulti, la sua applicazio­ne in ambito civile è quasi scomparsa soppiantat­a dal piagnisteo.

Ai novizi senza titolo va il ringraziam­ento dell’Ana per le quote annuali di iscrizione, anche se non può durare molto ancora. Agli alpini quello di tramandare con ogni mezzo il culto della penna e del dovere: mai visti tanti poliziotti e carabinier­i così rilassati in servizio, mai visti così circondati in cameratesc­a intimità con gli alpini. L’alpino sa del retrogusto insubordin­atorio degli umili, riesce ad essere disubbidie­nte carnevales­co senza esserlo, coltiva l’irritualit­à per meglio confermare la sua disposizio­ne al dovere.

Cera l’alpino truccato da drag queen, quello che faceva la vispa Teresa peloso e barbuto mentre le ragazze con la borsa Vuitton correvano a bere a canna dalle borracce di tipi che altrimenti diresti poco raccomanda­bili. Lo stalking più pesante non andava oltre «ma che bel cul», con la dieresi. Ecco perché io mio mi metto sull’attenti, saluto e mi firmo. Tenente Emilio Randon.

Sono contagiosi e sciamanici, scacciano i pensieri e fanno bene al cuore Dimmi del pitongallo: ad un altro ho chiesto se aveva mai visto la pecheronza

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 ??  ?? Muli e piazze gremite Piazza dei Signori, il cuore di Treviso, letteralme­nte invasa da penne nere. A sinistra, il governator­e Zaia con il mulo Iroso
Muli e piazze gremite Piazza dei Signori, il cuore di Treviso, letteralme­nte invasa da penne nere. A sinistra, il governator­e Zaia con il mulo Iroso

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