Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Goliardi, surreali Fenomenologia della penna nera
Viaggio nell’anima del «corpo». Fra mito, drag queen e nostalgie
TREVISO - Musoni disposti all’allegria, militari controvoglia pronti a farsela tornare, goliardi e parodistici, poeti scansafatiche sempre pronti a faticare. So di che cosa parlo, gli alpini son o questo e altro, credete, sono dei cazzoni in falange macedone.
Treviso è presa, occupata. Se il rugby - come diceva Oscar Wilde - è un’ottima occasione per tenere trenta energumeni fuori dal centro, degli alpini si può dire che sono una buona occasione per farceli entrare.
Sono contagiosi e sciamanici, scacciano i pensieri e fanno bene al cuore. Il cappello alpino ha la forza di un talismano: ero lì ieri quando ho visto un nero del Ghana passare indisturbato un cordone di carabinieri mentre gli altri della tribù scappavano come conigli all’avanzare di un maestoso maresciallo dell’Arma, lui stringendo a sé il cappello alpino e la sua paccottiglia. Nessuno lo ha visto.
Razza prolifica un tempo, ora in via di estinzione, fenotipo molto diffuso nelle vallate quando la leva era obbligatoria: Ora che non lo è più assistiamo ad un duplice fenomeno: da una parte gli alpini sono sempre meno, eppure il loro mito ingigantisce, la leva è di sentimento e gli alpini sono diventati la una grande operazione autogena di rassicurante nostalgia . Sono un ever green meglio degli Abba.
Andate a Treviso oggi e incontrate, se avete fortuna, l’ abbracciatore col cappello; credete, funziona, è la «hug» terapia: abbracci il primo che incontri per strada e lui si sente meglio, io che ho goduto di questo dono inaspettato mi sono sentito meglio.
Ero lì e cercavo con gli occhi uno che mi avesse trentacinque anni d’aspetto, un commilitone dell’ultima leva utile prima che l’Esercito chiudesse bottega, qualcuno nato nel 1985 insomma ultimo anno buono per il reclutamento obbligatorio. Gridavo: 64° Auc! Chi mi rispondeva 92esimo, chi 73esimo. Ottavo , Julia, gridavo ed erano baci ed abbracci. Ma i più avevano i capelli bianchi e qualche inizio di pancetta. Insomma di alpini sotto i quarant’anni non ce ne sono più, quelli che trovi sono i cloni, le imitazioni, là dove prospera lo zona del reclutamento mitologico, l’operazione di recupero valoriale di cui sopra che non ha età né sesso, e che include anche i bambini.
Travestirsi è semplice, per il costume ci sono le bancarelle: 170 euro per un cappello da uffficiale, 50 per uno della truppa, 35 per un fake, brutto solo a guardarsi, ma va bene anche quello visto che ha funzionato con il ghanese.
Allora mi sono messo a fermare la gente: dimmi del pitongallo dicevo, ad un altro ho chiesto se aveva mai visto una pecheronza. Nessuno lo sapeva, nessuno aveva mai visto una pecheronza, animale che vive nei ghiacciai si nutre di neve e con la coda cancella le sue tracce così simile alla neve che nessuno lo ha mai visto; niente del pitongallo, mitico volatile del becco fatto a piccozza e dotato di artigli robusti ma con uno scroto più lungo delle zampe le cui urla strazianti si possono ancora sentire nelle vallate alpine al momento del decollo e dell’atterraggio. Nessuno sapeva, eppure all’Ottavo alpini, battaglione Tolmezzo, le reclute venivano punite se non sapevano.
Adorabili alpini, immaginifici e cialtroneschi, sempre fuori dai ranghi e inclini all’insubordinazione, i primi a vi rientrarvi. Buoni anche i cloni quindi, quelli che pagano la quota all’Ana solo perché hanno avuto uno zio o un cognato nell’arma. L’adunata è la moderna chiamata delle emozioni, intergenerazionale, trasversale, incredibilmente moderna: la bevuta omerica, la caricatura, il buffonesco che rasenta l’arte. Si urlava nei vicoli di Treviso ed era la loro maniera di rivendicare un territorio, era dichiarazione di zona liberata dalla consuetudine, dal tran tran e dall’ipocrisia civica.
«Tranquillo - mi diceva il comandante di reggimento la caserma vera la troverai una volta fuori di qui, nella vita da civile».
Ai ragazzi privati del servizio obbligatorio viene sottratta la possibilità di imparare la meravigliosa arte della «faccia di servizio», ovvero della maniere di insultare un superiore senza finire in carcere: la «faccia di servizio» è il più nobile e sanguinoso degli insulti, la sua applicazione in ambito civile è quasi scomparsa soppiantata dal piagnisteo.
Ai novizi senza titolo va il ringraziamento dell’Ana per le quote annuali di iscrizione, anche se non può durare molto ancora. Agli alpini quello di tramandare con ogni mezzo il culto della penna e del dovere: mai visti tanti poliziotti e carabinieri così rilassati in servizio, mai visti così circondati in cameratesca intimità con gli alpini. L’alpino sa del retrogusto insubordinatorio degli umili, riesce ad essere disubbidiente carnevalesco senza esserlo, coltiva l’irritualità per meglio confermare la sua disposizione al dovere.
Cera l’alpino truccato da drag queen, quello che faceva la vispa Teresa peloso e barbuto mentre le ragazze con la borsa Vuitton correvano a bere a canna dalle borracce di tipi che altrimenti diresti poco raccomandabili. Lo stalking più pesante non andava oltre «ma che bel cul», con la dieresi. Ecco perché io mio mi metto sull’attenti, saluto e mi firmo. Tenente Emilio Randon.
Sono contagiosi e sciamanici, scacciano i pensieri e fanno bene al cuore Dimmi del pitongallo: ad un altro ho chiesto se aveva mai visto la pecheronza