Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La grande parata degli uomini (e quella delle bottiglie)
L’Adunata del Piave è una galleria di immagini straordinarie, nel vero senso del termine: non ordinarie, irripetibili, magnetiche. Maestose le sfilate, come quella di ieri del labaro dell’Ana e quella di venerdì della Bandiera di Guerra del Settimo Alpini, con passo marziale e orgoglio in ogni volto. Spassose le conversazioni, negli accampamenti e sotto i tendoni degli stand gastronomici. C’è da raccontare di tutto in questi quattro giorni alpini a Treviso, in cui a dire il vero più delle cerimonie e delle rievocazioni andavano per la maggiore il vino bianco (Prosecco possibilmente) e la birra, mentre i più arditi si dedicavano con passione al rosso. E qualcuno ci è rimasto sotto, si dice in gergo: bicchieri di plastica, bottiglie e damigiane finivano nei bidoni, ma i «reduci» dell’alcol finivano per terra, stremati dalla maratona etilica.
Qualche disagio è previsto e calcolato se in una città di 80mila abitanti si ammassano, nel giro di pochi giorni, 500mila persone. Gli alpini, quelli veri, hanno provato in tutti i modi a dimostrare che l’adunata è una manifestazione di ricordo e commemorazione: sono i «veci» col cappello, seduti in osteria a centellinare le ombre per non esagerare, con l’occhio che brilla di ricordi quando parte il coro della memoria. E anche gruppi di giovani penne nere hanno tentato di trasmetterne il senso profondo della condivisione e della gioia di una festa, percorrendo notte e giorno la città con strumenti musicali e fiaschette di vino da offrire a tutti, senza distinzioni, perché il bello di queste feste è aprire le porte.
Peccato che la musica non si possa fotografare, perché più di tutto rimarrà questo, a Treviso. Un canto continuo, non concertini statici e microfoni amplificati, ma gruppi e sezioni in totale armonia fra di loro e nel contesto.