Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Commissione d’inchiesta sui Pfas, il risanamento costerà mezzo miliardo
Il maxi inquinamento caso politico, choc in Regione per la cifra necessaria a sanare la situazione
VENEZIA Via libera del consiglio regionale alla commissione d’inchiesta sulla contaminazione da Pfas che ha inquinato 200 chilometri quadrati tra le province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, coinvolgendo oltre 350 mila persone. Non solo. Per sanare, secondo la Regione, servono 500 milioni.
VENEZIA Una commissione d’inchiesta del consiglio regionale indagherà sulla contaminazione da Pfas che ha inquinato 200 chilometri quadrati tra le province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, coinvolgendo oltre 350 mila persone. La delibera istitutiva è stata approvata ieri all’unanimità a Palazzo Ferro Fini: la commissione resterà in carica 2 mesi (ma il termine potrà essere prorogato) e la presidenza spetterà ad un componente dell’opposizione (circolano i nomi di Manuel Brusco del M5s e Andrea Zanoni del Pd).
Che cosa potrà fare questa commissione (si spera smentendo l’antico adagio parlamentare per cui «se non si vuole scoprire nulla, si deve fare una commissione»)? I compiti sono puntualmente indicati nella delibera: attivare il piano di monitoraggio su persone e alimenti; collaborare con gli uffici della Sanità e dell’Agricoltura, con l’Arpav e il Sistema Epidemiologico Regionale, con i sindaci dei Comuni coinvolti e le associazioni che seguono il dossier Pfas; convocare i vertici dello stabilimento chimico Miteni di Trissino e le eventuali altre aziende interessate, oltre ai rappresentanti degli enti gestori del sistema di bonifica e del servizio idrico integrato.
In sede di dibattito, l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin ha spiegato che l’inquinamento da Pfas, considerato ogni suo aspetto, avrà un impatto stimato attorno ai 500 milioni di euro, di cui 80 per la sola messa in sicurezza e 220 per gli interventi che sarebbero necessari (condizionale d’obbligo ancora non è chiaro chi sborserà i quattrini) sugli acquedotti, così che nell’indignazione generale s’è alzato un coro bipartisan: «Paghi chi ha inquinato». E cioè Miteni, l’azienda indicata da Arpav come fonte degli sversamenti. «I veneti non possono subire un danno doppio, prima alla salute e poi al portafogli ha detto Andrea Zanoni del Pd -. Risarcire il costo sanitario e ambientale è il minimo».
L’azienda, confermando la strategia collaborativa messa in atto fin dal primo giorno (i fatti contestati, d’altronde, pare risalgano alle gestioni precedenti), fa sapere di accogliere «con favore l’istituzione della commissione» perché «ogni approfondimento tecnico scientifico evidenzierà quanto già sostenuto dall’azienda e confermato dal Tribunale superiore delle acque, e cioè che per risolvere il problema dei Pfas a catena lunga si deve intervenire su chi li utilizza. Miteni ne ha cessato la produzione da anni».
Bottacin, dal canto suo, ha ribadito una volta di più: «La nostra prima denuncia all’autorità giudiziaria risale a luglio 2013 e anche in occasione della diffusione dell’ultimo report del settore Sanità, a ottobre, io personalmente mi sono recato alla procura di Vicenza. È sempre stata garantita la massima collaborazione e affinché sia applicato il sacrosanto principio secondo cui chi inquina paga, la Regione si è costituita parte civile. Il tema, però, è delicato le informazioni devono essere veicolate nel modo più trasparente e scientificamente dimostrato possibile».
Proprio su questo aspetto, quello della trasparenza, è però scontro col Movimento Cinque Stelle, che dice di aver chiesto la costituzione della commissione proprio perché «molte notizie gravissime le abbiamo apprese dai giornali e da documenti fuoriusciti. È inaccettabile che i consiglieri siano gli ultimi a sapere le cose, così si continueranno ad alimentare le paure e le incertezze che stanno mettendo in crisi molte aziende agricole e preoccupando le famiglie». Il M5s chiede il blocco totale della produzione di Pfas da parte della Miteni, mentre Maurizio Conte dei «tosiani», con una proposta curiosa, ha suggerito di tassare maggiormente lo stabilimento Coca-Cola di Nogara, vincolando poi i proventi al capitolo «Tutela del patrimonio idrico»: «Non è possibile che le aziende di acqua minerale paghino 1,5 euro per ogni metro cubo l’acqua che estraggono - ha detto mentre la multinazionale fatturi milioni con una concessione da appena 10 mila euro l’anno».
Zanoni Paghi chi ha inquinato, altrimenti ai veneti costerà doppio Conte L’acqua costa, paghi anche la Coca Cola di Nogara