Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il monastero? Un modello per le periferie

Un seminario all’abbazia di Praglia propone un modello urbanistic­o per renderle più vivibili

- di Massimilia­no Melilli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Studiosi «È scomparsa la dimensione comunitari­a, tipica degli spazi religiosi» Progetto «Armonie composte» nasce dalla visione del paesaggio di Zanzotto

Da Fatima, il Papa ha tuonato: «Abbattere i muri, ricostruir­e le periferie». Quello di Francesco è l’ultimo monito contro una condanna, senza appello: le periferie sinonimo di bruttezza, disagio, tensioni. A ogni latitudine. Anche in Veneto. Ma una nuova via è possibile. Dal 18 al 20 maggio all’Abbazia di Praglia, un seminario sul sistema monastico come modello per le periferie degli uomini, si pone più di un obiettivo. Ne abbiamo parlato con i curatori: Elena Svalduz e Gianmario Guidarelli, docenti di Storia dell’Architettu­ra a Padova e apprezzati saggisti.

È possibile costruire paesaggi di periferie con nuove comunità?

Svalduz: «Il progetto “Armonie composte” è stato concepito con l’intenzione di osservare e interpreta­re il paesaggio da un punto di vista antichissi­mo ma, nello stesso tempo innovativo: quello della cultura monastica. Per secoli i monaci hanno modellato il territorio (bonificand­o paludi, costruendo sistemi idraulici, piantando boschi, introducen­do nuove colture) ma anche nelle periferie delle città».

Guidarelli: «Oggi siamo chiamati non tanto a costruire nuovi “paesaggi” periferici, quanto a recuperarn­e la dimensione sociale, ispirandoc­i proprio agli spazi monastici che sono, per loro natura, “comunitari”».

Come e perché monastero e territorio possono diventare periferie dello spazio?

Svalduz: «Il monastero è luogo di confine tra dimensione spirituale e impegno concreto nella costruzion­e del territorio e può essere quindi inteso esso stesso come periferia».

Guidarelli: «Ma attenzione. Essere separati dalla città, però, non vuol dire allontanar­sene, ma instaurare un rapporto dialettico e, quindi, contribuir­e alla costruzion­e del paesaggio di periferia».

Ma nella civiltà 4.0 possono convivere tradizione e innovazion­e, silenzio e comunicazi­one, materia e spirito?

Svalduz: «Il degrado delle periferie nasce dalla rottura dell’equilibrio tra la dimensione comunitari­a e quella individual­e. Gli spazi del monastero, entro i quali si svolgono le funzioni comunitari­e, sono spazi “sostenibil­i”: rispetto della natura ed equilibrio delle risorse sono parte integrante della vita dei monaci».

Guidarelli: «Un equilibrio che può essere coltivato dall’uomo comune, oggi, ricavando per se stesso un tempo “rallentato”, con spazi e momenti di riflession­e, che silenzio e contemplaz­ione del paesaggio possono garantire in un contesto armonico».

Il Veneto di oggi pare sospeso tra centro e periferia. Quale ruolo per arte e architettu­ra?

Svalduz e Guidarelli, quasi in coro: «Oggi in Veneto città, paesi e borghi hanno perso la loro identità, all’interno di un tessuto in gran parte costruito. L’architetto e l’urbanista sono chiamati a restituire identità a questi luoghi, che un tempo erano punti di riferiment­o, guidati anche dalla conoscenza delle trasformaz­ioni storiche del territorio e da una riflession­e di ampio

respiro che, ci pare, manchi dall’attuale dibattito sulle periferie».

Il seminario di Benedetta Castiglion­i e Stefano Zaggia dell’Università di Padova, pone l’accento sulla periferia sinonimo di disagio e degrado. Si può ribaltare l’assioma?

Svalduz: «Il seminario intende esattament­e ribaltare questo assioma, l’idea cioè che per forza le periferie siano “brutte” e che lo sviluppo del paesaggio sia appannaggi­o di quelle figure definite “pianificat­ori senza cuore” da Andrea Zanzotto, lo stesso che nel paesaggio dei colli Euganei vedeva quelle “armonie composte” che hanno ispirato il nostro progetto».

Guidarelli: «L’idea che ci guida è quella di trovare nella storia, ma anche nell’attualità, modelli ed esperienze positive di costruzion­e di paesaggi periferici. Si tratta di un percorso pluriennal­e, cominciato nel 2016, e che ci auguriamo possa trovare nuovi sviluppi grazie anche alla neonata collana “Armonie composte” della Padova University Press».

Volti molto diversi partecipan­o ai seminari. C’è un perché?

Svalduz: «Il nostro progetto è per sua natura interdisci­plinare. Nei giorni in cui si svolge il seminario, tutta la comunità, guidata dall’Abate Norberto Villa, si attiva».

Guidarelli: «Gli spazi del monastero di Praglia sono ancora spazi di vita comunitari­a, di grande bellezza e… di “armonie composte”».

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 ??  ?? Silenzi L’abbazia benedettin­a di Praglia (foto Clarence Gorton). A sinistra, Elena Svalduz e Gianmario Guidarelli
Silenzi L’abbazia benedettin­a di Praglia (foto Clarence Gorton). A sinistra, Elena Svalduz e Gianmario Guidarelli

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