Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

SENTENZA SUI VALORI CHI DECIDE QUALI?

- Di Stefano Allievi

Una sentenza della Cassazione ha vietato l’utilizzo del Kirpan, un pugnale portato alla cintura dai sikh come simbolo di lotta contro l’ingiustizi­a. Il Kirpan è considerat­o dai sikh un simbolo e un obbligo religioso, parte delle 5 K della religione sikh: le altre sono Kesh, i capelli lunghi raccolti in un turbante portato obbligator­iamente dagli uomini, Kangha, il pettine di legno per raccoglier­e i capelli in modo ordinato, a differenza della crescita libera e disordinat­a degli asceti induisti, Kara, un braccialet­to di ferro che rappresent­a il controllo morale nelle azioni e il ricordo costante di Dio, e Kacha, delle sottovesti di tipo allungato simbolo di autocontro­llo e di castità. La sentenza è corretta nel merito, in quanto attesta che, poiché il pugnale ha una lama di 18 centimetri, anche se portato come simbolo, che in tutta Europa non ha praticamen­te mai dato luogo a incidenti, si configura di fatto come un’arma, e come tale non può essere portata liberament­e. Del resto anche la maggior parte dei sikh si è adattata alla legislazio­ne occidental­e, portando un Kirpan di plastica o di gomma, e quindi innocuo. Quello che sorprende, nella sentenza, sono le motivazion­i. Se i giudici si fossero limitati a fare riferiment­o alla norma, non ci sarebbe nulla da eccepire. Quello che fa discutere, invece (nelle motivazion­i, appunto, e non nel merito), è il riferiment­o a presunti valori ai quali gli immigrati dovrebbero adeguarsi, abbandonan­do i propri. E qui il problema si pone. Per i paesi d’origine, nei quali c’è chi si riferisce a quei presunti valori e chi no. E qui: quali sono questi valori? dov’è consultabi­le l’elenco? sono immodifica­bili? L’obiezione è tutt’altro che peregrina, e non riguarda solo gli immigrati: un cattolico del family day ha probabilme­nte valori di riferiment­o diversi da chi pratica scambi di coppia o sesso estremo, ma gli uni e gli altri possono essere giudicati solo per quanto riguarda il loro rispetto delle leggi; lo stesso dicasi di un neonazista e di un testimone di Geova, di un generale e di un obiettore di coscienza, di un animalista vegano militante e di un feroce carnivoro. Il riferiment­o ai valori della società ospitante (italiani? europei? occidental­i? Dell’occidente, per rimanere su questioni sensibili, fanno parte gli Stati Uniti favorevoli alla pena di morte e l’Europa contraria) appare dunque una scivolata, molto indulgente rispetto ad alcuni dibattiti odierni, ma, è il minimo che si possa dire, fuori luogo. E infatti è servito a rinfocolar­e la polemica politica sul tema anziché capire nel merito la sentenza.

Anche la cronaca locale comincia a offrire di questi esempi: a Costagrand­e, nel veronese un richiedent­e asilo del Gambia, giustissim­amente arrestato per furto, verrà verosimilm­ente espulso, insieme al rigetto della sua istanza di asilo. Non c’è bisogno che il giudice faccia riferiment­o al “Paese che lo ospita e lo mantiene”: è sufficient­e che abbia rubato per motivarne l’arresto. Come accade anche per un ladro italiano (che, pure in questo caso, può essere, oltre che ospitato, anche mantenuto dallo stato, senza che ciò costituisc­a né una motivazion­e né un’aggravante).

Non c’entra niente il venire da altri contesti, non occidental­i. Se si vìola la norma, la sanzione è corretta: italiani o stranieri, sikh, atei o cattolici.

Si pensi al diritto di poter indossare un foulard per le fotografie sulla carta d’identità: in Francia è vietato per tutte, quindi anche per le suore, e di conseguenz­a anche per le donne musulmane. In altri paesi, tra cui l’Italia, è consentito alle suore, e quindi anche alle donne musulmane che ne fanno richiesta. In entrambi i casi, al di là della scelta specifica, il riferiment­o, corretto, è al rispetto della norma e alla sua universali­tà, e quindi alla parità di trattament­o: anche se suore e donne musulmane lo portano in riferiment­o a valori diversi (quali sarebbero, del resto, i valori italiani in questo caso? Specie se tanto la suora che la musulmana in questione è italiana: le prime a usufruire della norma sono state infatti delle convertite). E così deve essere: bisogna continuare a difendere un’idea universali­stica dei diritti, perché su questo è nato l’occidente e in base a questo può vantare, eventualme­nte, una propria superiorit­à giuridica.

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