Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
L’Hellas torna in A A Verona esplode la festa
Un pari a Cesena ed è gioia Hellas Delirio gialloblù allo stadio e in città
CESENA «Torniamo in serie A». Il coro inizia solo nei minuti di recupero perché solo lì si scioglie la tensione, solo lì i giocatori con la maglia bianconera decidono che non rovineranno la festa agli avversari in completo giallo e, soprattutto, ai quattromila e passa dei loro tifosi giunti da Verona con bandiere, sciarpe e cori. E’ una succursale del Bentegodi, stasera, il Manuzzi di Cesena. E al fischio finale, com’è giusto e naturale che sia, tutti i giocatori dell’Hellas sono sotto la curva a festeggiare, protetti da un cordone di agenti anti-sommossa perché non si sa mai. Solo Fabio Pecchia, l’allenatore che al suo debutto in panchina ha centrato subito il traguardo al termine di una stagione di alti precoci, bassi repentini e risalite finali costanti, si mantiene un po’ defilato, perché in fondo il suo stile è questo: sempre posato, mai sguaiato, nelle sconfitte più cocenti e nelle vittorie più roboanti. Stavolta, è arrivato un pareggio senza reti e dolcissimo: un punto serviva per la promozione matematica, e un punto è arrivato, non senza qualche patema di troppo.
«Torniamo in serie A», continuano a cantare adesso a squarciagola i tifosi del Verona, mentre Pazzini e compagni si abbracciano, indossando una maglietta celebrativa indossata per l’occasione. E’ un modo, anche, per chiudere i conti con la storia. Proprio qui, nel 1990, si era interrotta l’epopea gialloblù di Osvaldo Bagnoli, quando ancora lo stadio si chiamava La Fiorita e il condor Agostini spedì il Verona che solo cinque anni prima si era cucito sul petto lo scudetto in serie B. Da adesso, la città della Romagna evocherà tutt’altra musica per i tifosi gialloblù: quella di una sinfonia, la nona, come nove sono - con questa - le promozioni in serie A dal 1903 ad oggi. E allora nessuna colonna sonora può essere più appropriata dell’Inno alla Gioia: no, non quello di Beethoven, ma quello suonato e cantato dagli spalti, nella tiepida serata di un giovedì di primavera, per ricominciare a sognare dopo il tristissimo campionato dello scorso anno, coinciso con la retrocessione.
Non è stata comunque una passeggiata. L’erba del Manuzzi sarà pure sintetica, ma non c’è nulla di artificiale nell’atmosfera che si respira allo stadio. Sarà anche perché le due tifoserie, dall’orientamento «politico» opposto, non si amano e non mancano di ricordarselo vicendevolmente. Sia chiaro, a Cesena, ad attendere l’Hellas, non c’è certo l’«inferno» dello spareggio per la B di Salerno. Ma non c’è nemmeno l’inconfondibile profumo di «biscotto» che accompagnò il pari senza reti del Bentegodi contro l’Empoli, in occasione dell’ultima promozione nella massima serie. Il Cesena, che nulla ha più da chiedere al suo campionato, gioca con il solo sfizio di regalarsi un trofeo pregiato, lo scalpo della prima (o quasi) della classe. Così per lunghi tratti, è partita vera, con Pazzini e compagni che cercano - con sempre meno convinzione, mano a mano che passano i minuti - il gol che scaccerebbe tutte le paure. Niente da fare, la gara resta in bilico, così come la stagione dell’Hellas: a un passo dalla gloria, certo, ma in un contesto di fragilità per cui basterebbe un episodio - come il gol di Rodriguez a venti dalla fine, annullato giustamente (e fortunatamente) per fuorigioco - a precipitare nella tragedia (sportiva).
Non accade nulla e quindi, per l’Hellas, succede tutto dopo. Quando l’arbitro La Penna fischia e può partire la festa, che vede in Troianiello - comparsa in campo ma non certo nello spogliatoio - il prim’attore. Arrivederci Cesena, ci si rivede tra qualche mese, in serie A.