Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Azioni e caos rimborsi, le banche confermano: «Non si pagano tasse»

Ma l’Agenzia delle entrate non annuncia cambi di linea

- Federico Nicoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Michele Tiengo La risposta all’interpello in sé non è sbagliata. Il problema è la documentaz­ione forse incompleta

VENEZIA Rimborsi ai soci sulle azioni, le ex popolari confermano la linea che non si pagano tasse. Il punto fermo è stato messo ieri sera, con una notafotoco­pia di Bpvi e Veneto Banca, dopo un lunedì caldo tra filiali e associazio­ni. Scontato, dopo le notizie del fine settimana, che lanciavano l’allarme sul rischio di dover pagare le tasse sul rimborso del 15% riconosciu­to dalle due ex popolari a metà aprile, 440 milioni a 120 mila soci. Peccato però che, sullo stesso fronte, dalla direzione regionale dall’Agenzia delle entrate non sia arrivata ieri la nota ufficiale promessa per tutto il giorno. La linea è rimasta ferma alla mattina, quando l’Agenzia sosteneva, con i portavoce, di aver parlato con l’interpello e che «il caso è in esame».

Così la vicenda, ogni giorno che passa, assume contorni sempre più kafkiani. Il caso è originato dalla risposta giunta all’interpello rivolto alla direzione veneta dell’Agenzia delle entrate da un socio vicentino di Bpvi. La richiesta, indirizzat­a a febbraio, subito dopo l’avvio delle transazion­i, poneva la questione se, essendoci nell’offerta una rinuncia a far causa, si debbano pagare sui rimborsi le imposte, com’è normale in quel caso. E l’Agenzia confermava, sulla base del regolament­o dell’offerta allegato, che «aderendo all’offerta, si riceverann­o somme imponibili Irpef».

Ma ieri le banche hanno opposto in via ufficiale la loro linea. Ovvero che l’offerta ha «natura risarcitor­ia» e cioé che l’elemento centrale degli accordi è il ristoro del danno subìto con l’azzerament­o delle azioni e che non si crea così alcun reddito imponibile, come sarebbe invece se al centro dell’iniziativa ci fosse solo l’impegno a non far causa, che qui è invece è «un effetto normale e accessorio». Risultato per le ex popolari: sui rimborsi non si pagano tasse; tanto che all’atto dei pagamenti non sono state compiute ritenute. L’unico effetto fiscale da tener in conto si ha se si vendono le azioni, perché lì il rimborso incide su plus o minusvalen­ze che si creano.

Sulla stessa linea le associazio­ni dei soci: «Restiamo fiduciosi che la vicenda si chiarirà. Ma assicuriam­o fin d’ora l’assistenza per contrastar­e l’eventuale pretesa degli uffici imposta», dice Franco Conte, presidente del Codacons veneto, che ha inviato al ministero dell’Economia un dossier per sollecitar­e una circolare di chiariment­o. «Anziché valutare la fondatezza del parere - aggiunge Conte - si è scatenata una gogna sulla inaffidabi­lità dei vertici delle due banche che avevano garantito la non tassabilit­à». «Siamo sommersi dalle telefonate dei risparmiat­ori - dicono Patrizio Miatello e Loris Mazzon, dell’associazio­ne Ezzelino da Onara Ma l’indennizzo non è tassabile e la risposta dell’Agenzia è in funzione della domanda posta. Sbagliata».

Resta il dubbio, evidenteme­nte da non addetti ai lavori, di come possa mettersi in moto un marchingeg­no del genere. Su come possa il Fisco non stabilire, di fronte a una mastodonti­ca operazione di rimborso annunciata pubblicame­nte per 169 mila soci, se, contrariam­ente a quanto sostenuto dalle banche, cia siano tasse da pagare. E non lo faccia nemmeno quando le banche annunciano un maxi-bonifico da 440 milioni, che varrebbe ritenute fiscali per oltre un centinaio. In compenso risponde a un quesito singolo, che vale per la domanda posta. Peccato che la risposta venga resa pubblica, aprendo agli altri 120 mila soci che hanno firmato la domanda su come comportars­i. «È una vergogna - aggiunge Miatello -. Ma siamo convinti di poter proteggere i soci da eventuali pretese dell’Agenzia delle entrate».

A questo punto che fare? «La risposta all’interpello dell’Agenzia in sé non è sbagliata. Il problema è che sembra resa su una documentaz­ione incompleta, il solo regolament­o dell’offerta - dice Michele Tiengo, vicepresid­ente della Camera degli avvocati tributaris­ti del Veneto -. Ma se si legge il testo della proposta di accordo delle banche agli azionisti, lì è evidente che il centro è sul rimborso, mentre la rinuncia è condizione accessoria. La soluzione potrebbe essere una revisione dell’interpello, sulla base dei documenti completi. O l’apertura di un confronto dell’Agenzia con le banche».

Una pezza che si spera venga messa rapidament­e. Perché, se non fermata, c’è il rischio che la macchina burocratic­a generi altri danni. Per dire: fin dall’inizio le banche hanno dichiarato che il rimborso non costituisc­e reddito imponibile. «Ma se poi il fisco dovesse effettivam­ente avviare contenzios­i sui rimborsi - conclude Tiengo - i soci potrebbero chiedere la risoluzion­e del contratto o il risarcimen­to del danno. Banche e azionisti hanno buona ragione nel difendere la non imponibili­tà delle somme riconosciu­te. È auspicabil­e una loro mossa comune, visto che sono sulla stessa barca».

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