Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I giudici richiamano il Comune : «Il materiale usato per riempire la vasca era troppo fine»
BELLUNO La vasca di contenimento della frana di Cancia a Borca di Cadore era stata costruita bene ma non il materiale di riempimento non era di buona qualità, l’edificio Mi.no.ter (ex villaggio Eni) non aumentò, nè deviò, la forza della colata detritica, che nel 2009 si portò via, soffocandoli, l’anziana Giovanna Belfi e il figlio Adriano Zanetti. Non c’è però nessun colpevole per le due morti: queste le motivazioni della Corte d’Appello di Venezia che ha assolto Sandro De Menech, (difeso dall’avvocato Luigi Ravagnan) progettista del bacino di contenimento, Ermanno Gaspari e Alvise Lucchetta (difesi da Sandro De Vecchi) responsabili dell’ufficio regionale del Genio civile, alla sbarra perché non si sarebbero accorti - secondo la tesi della Procura - che era necessario abbattere l’edificio Mi.no.ter., costruito in mezzo alla traiettoria della colata detritica di 20 mila metri quadrati staccatasi dal monte Antelao lungo il canalone denominato «della Rovina di Cancia», che provocò il collasso dell’opera di contenimento travolgendo nel sonno l’anziana Belfi e il figlio Adriano che si trovavano nella propria casa nella notte tra il 17 e 18 luglio 2009. Assolti anche l’allora sindaco Massimo De Luca (difeso dallo studio Paniz) e il tecnico comunale, Vanni De Bona (studio Livio Viel), Atonino e Luigi Buttacavoli dell’impresa che si occupò dei lavori alla gabbia di contenimento della frana. La Corte veneziana tuttavia stiletta il Comune: «Appaiono opportune alcune precisazioni, i periti hanno affermato che c’era stato un alto rischio di pericolosità per la pubblica incolumità, per le persone che si potevano trovare in strada e per gli automobilisti». Per questo, i giudici sottolineano a più riprese come vi sia la «necessità di una più corretta gestione urbanistica del territorio con limitazioni d’uso e regolamentazioni per garantire una pianificazione adeguata al rischio idrogeologico». Nelle motivazioni la Corte ricorda che i periti, il professore e geologo dell’università di Firenze, Nicola Casagli e il collega ordinario di Ingegneria idraulica a Padova, Stefano Lanzoni, hanno stabilito come si sia trattato di un «evento difficilmente prevedibile». Secondo la Corte non può essere rivolto «alcun addebito» ai progettisti, «esecutori di scelte strategiche operate a monte». I magistrati formulano dunque «una specifica censura relativa alla fase di esecuzione dell’opera, non essendo stato impiegato materiale di riempimento consono ma più fine del dovuto». «È un sentenza estremamente complessa - dice De Vecchi - con riferimenti di giurisprudenza europea. Si mette la parola “fine” sulla vicenda riconoscendo la correttezza del lavoro dei professionisti coinvolti». (fe.fa.)