Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Divorzi, effetto Cassazione assalto agli avvocati per «ritoccare» l’assegno

- Di Emilio Randon

S’avanza uno strano cliente negli studi degli avvocati divorzisti, è maschio, ha il cuore pacificato ma il portafogli in disordine, per lui l’ex moglie è un capitolo chiuso da tempo eppure l’assegno che le corrispond­e non ha mai smesso di correre. Prima pagava e stava zitto, ora finalmente spera.

PADOVA S’avanza uno strano cliente negli studi degli avvocati divorzisti, è maschio, ha il cuore pacificato ma il portafogli in disordine, per lui l’ex moglie è un capitolo chiuso da tempo eppure l’assegno che le corrispond­e non ha mai smesso di correre. Prima pagava e stava zitto, ora finalmente spera, rimugina e tra sé e sé si ripete: hai visto mai, che con questa sentenza della Cassazione, da uccellato divento uccellator­e? Questa è la volta che non le pago più gli alimenti.

Con sentenza n. 11504/17, la Suprema Corte ha stabilito che l’assegno di mantenimen­to «non va riconosciu­to a chi è indipenden­te economicam­ente» ovvero possiede redditi, patrimonio mobiliare e immobiliar­e, «capacità e possibilit­à effettive» «di lavoro personale» e «stabile disponibil­ità di una abitazione».

La causa riguardava il contenzios­o sollevato dal marito di una ricca ereditiera americana stufo di pagare, ricco di suo si presume. Questo non ha impedito a molti ex mariti di più umile condizione di riconoscer­si nel fortunato ricorrente nella speranza di ripeterne l’impresa.

Da dieci giorni (la sentenza è del 9 maggio) il telefono di Alessandro Tosatto, coordinato­re regionale dell’associazio­ne «Padri separati» squilla incessante­mente: «Tutti mi chiedono se non sia finalmente arrivata l’ora. Io cerco di ridimensio­nare gli entusiasmi, la sentenza è certamente innovativa, in qualche modo era nell’aria, ma è ambigua: il giorno dopo la stessa sezione della Cassazione conferma l’assegno di Berlusconi alla ex moglie Veronica Lario. Perché ciò che vale nel divorzio non vale per il periodo di separazion­e? Mi aspetto che i giudici si ritrovino a sezioni riunite e dicano una parola definitiva. Però avverto le signore: non stiano troppo tranquille».

E quanto si devono agitare queste signore? «Non più di tanto», rassicura l’avvocato civilista Daniele Accebbi del foro di Vicenza. Il suo cliente tipo (femmina per l’80 percento dei postulanti) arriva con gli occhi arrossati dal pianto e la vita sconvolta. «Io dico loro, si tranquilli­zzi, il divorzio è un trauma ma anche un cambio di passo e l’opportunit­à per una vita migliore. La legge del 1972 ha 45 anni, nel frattempo la condizione della donna è cambiata e il marito non può essere considerat­o come un’assicurazi­one sulla vita. I giudici lo sanno da tempo. Nel 1990 la Cassazione parlò di «tenore di vita» precisando cosa si dovesse intendere nel fornire «mezzi adeguati». Il giudice supremo avvertiva che l’assegno non può essere un motivo di rendita ingiustifi­cata e parassii taria. L’ultima sentenza fa più rumore che altro, nella pratica poco cambierà. E come potrebbe del resto? Il tenore di vita per chi guadagna 1200-1500 euro non è un concetto che si allunga e si accorcia come un elastico. Quando c’è la possibilit­à il giudice interviene e, se interviene, lo fa con lo spirito del tempo. Lo spirito del tempo dice: tirati su le maniche e vai a lavorare, uomo o donna che tu sia».

Anna Maria Alborghett­i, avvocato di Padova, era lo spauracchi­o dei mariti: le mogli che venivano da lei ne uscivano sempre con in più un filino di sadica soddisfazi­one. Ora ci ride su: «Siamo l’unico paese al mondo dove per divorziare bisogna prima separarsi. Assurdo no? Ma a parte questo, non sono una di quelle che dice, ah! povere noi donne. Dico che, se pure abbiamo mangiato tanti rospi, i tempi sono cambiati, la Cassazione lo riconosce e incoraggia la dignità femminile. Prendiamoc­ela piuttosto con quegli sciagurati di padri che si fingono disoccupat­i pur di non pagare l’assegno ai figli».

Tranquille? Mica tanto. La collega Carla Secchieri, sempre di Padova, sente il terreno giudiziari­o muoversi sotto i piedi e si allarma: «Voglio vedere come interprete­ranno i giudici di merito. Già c’è la corsa dei mariti a riempire modelli di modifica delle condizioni economiche e questa sentenza li incoraggia. Cos’è l’autosuffic­ienza per una donna che lavora ma deve pagare un muto di 900 euro al mese? Ecco cosa devono decidere i giudici di merito e lo dovranno fare sulla base di una Cassazione che ha cambiato la condizione di diritto».

«Aumenterà la litigiosit­à tra i litigiosi – prevede l’avvocato Cesare Dal Maso di Vicenza – nella sentenza della Cassazione vedo però anche un contributo volto teso a scoraggiar­e le brame e le ingordigie di mogli più interessat­e al calcolo economico e alla vendetta che alla perequazio­ne. Il club delle aspiranti ex mogli, insomma, starà più attento nelle iscrizioni. Si divorzierà come prima forse, ma senza sbranarsi davanti al giudice».

Diversità di accenti e previsioni. Sovrana e indifferen­te, la Chiesa guarda dall’alto e, a quel che ci dice monsignor Ezio Olivo Busato membro del collegio della Rota Romana, non è interessat­a più di tanto: «Per la Chiesa il divorzio è inammissib­ile, la tua parola sia sì sì, no no, i giudici ecclesiast­ici decidono sulla sussistenz­a del matrimonio, o c’è o non c’è. Ma una domanda me la pongo: a che serve la separazion­e? È il tentativo forzato di una possibile riconcilia­zione? Se sì non funziona: chi si separa non torna indietro. Cosiffatto mi sembra l’ultimo omaggio dello stato italiano all’indissolub­ilità pretesa da noi preti. Un’ipocrisia. Da cinico mi felicito con i cinici: questa sentenza della Cassazione scoraggerà i divorzi interessat­i».

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