Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Copiano al test: tre universitari in tribunale
PADOVA Tre studenti universitari rischiano di finire sotto processo per aver messo in atto un complicato sistema per copiare nel corso di un esame della Facoltà di Giurisprudenza di Padova. Li ha «pizzicati» la polizia.
PADOVA «Alla faccia di chi studia» quei tre lo pensavano davvero. Ed erano talmente convinti che sarebbe bastato farsi furbi per passare un esame universitario, da aver creato un gruppo Whatsapp con quel nome e con l’obiettivo di suggerirsi in chat le risposte alle prove scritte.
Di quella sofisticata opera di copiatura se n’erano vantati a tal punto, però, che a intralciare il loro piano era stata la voce che proprio loro avevano messo in giro. Il passaparola aveva fatto arrivare il raggiro, con tanto di nomi e cognomi dei protagonisti, all’orecchio del preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Erano bastate poi una sua chiamata alla squadra Mobile, alcuni agenti in borghese all’esame e un’attenzione particolare alla studentessa in questione durante l’intera prova, per smascherare il tutto.
Succedeva il 13 maggio 2016, quando al Bo era in programma l’esame scritto di Procedura Civile. Un anno dopo i tre studenti colti sul fatto – lei una ventiseienne di Thiene (Vicenza) e i suoi compagni (uno di Bassano e l’altro di Vicenza) rischiano di finire a processo per quella furbata. A spingerli verso un’aula di tribunale è l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari Cristina Cavaggion ha disposto l’imputazione coatta dei tre con l’accusa di aver violato una vecchia legge (la numero 475 del 1925) che all’articolo 1, quello contestato ai furbetti dell’esame, punisce chi, durante una prova, presenta come un proprio elaborato il lavoro prodotto da altri.
Ed era questo l’intento della studentessa e dei suoi due compari collegati via Whatsapp. Lei, da dentro l’aula, che dettava le domande alla chat e loro due - coetanei - che da casa e con i libri sottomano, le suggerivano le risposte. Un comportamento che il gip ha considerato tutt’altro che banale, anche nel rispetto di chi si era preparato studiando sui libri per pomeriggi interi, bocciando su tutti i fronti la tesi del sostituto procuratore Marco Peraro che aveva chiesto l’archiviazione del caso per la particolare tenuità del fatto. Una pacca sulla spalla e via, era stata la proposta del pm, a cui si era opposta l’università (avvocato Emanuele Fragasso Jr) chiedendo e poi ottenendo dal gip il rispetto delle regole.
I tre, che dopo l’episodio si sono trasferiti lasciando l’ateneo della città del Santo, avevano preparato la cosa nei minimi dettagli. Con soli 50 euro la studentessa aveva comprato su internet un kit per la copiatura da collegare al cellulare tenuto acceso in tasca. Dall’altra parte della cornetta e tranquilli a casa con il libro di Procedura Civile sotto gli occhi, pronti a cercare e dettare le risposte, c’erano invece i suoi due amici. Tutto perfetto, come perfetto era stato lo svolgimento della prova. Gli agenti della Mobile, avvertiti dal preside di Giurisprudenza e mischiati agli altri 170 studenti che avevano riempito l’aula, sapendo chi tenere d’occhio, avevano lasciato fare la studentessa, intervenendo solo dopo che lei aveva consegnato il compito.
A quel punto, con in mano un decreto di perquisizione, le avevano chiesto di mostrare cosa nascondesse sotto la maglietta, ossia un telefonino, un filo con un microfono mimetizzato con una collana e un auricolare che, grande pochi centimetri, era nascosto e invisibile tra i capelli. Colta sul fatto la studentessa, difesa dal penalista Davide Pessi, si era giustificata dicendo che quello era l’unico modo che poteva avere per superare l’esame. Con l’inganno e l’aiuto da casa come in un quiz dal titolo già scritto: alla faccia di chi studia.