Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Non lucrare sulla salute Il profitto va eliminato »

La ricetta di Gino Strada contro le disuguagli­anze «Abbiamo assistito 8 milioni di persone in 17 Paesi»

- Erica Ferro

Il Censis dice che 11 milioni di italiani non possono curarsi come dovrebbero

Occorre un vaccino contro la guerra, è la malattia più pericolosa

Completame­nte gratuite, in modo che siano veramente accessibil­i a tutti e di alta qualità, perché siano efficaci. Così dovrebbero essere le cure per Gino Strada, «e nessuno, praticando­le, dovrebbe trarne del profitto». Per il medico e attivista lombardo tuttavia, che insieme alla moglie Teresa Sarti ha fondato Emergency, «la malattia più pericolosa è la guerra». Parlerà di medicina e diritti umani il 2 giugno alle 21, al Teatro sociale.

Strada, il diritto alla cura è un diritto umano universale e per lei, come ha più volte dichiarato, esiste un solo modo di fare medicina: può spiegare quale?

«La medicina ha un ruolo sociale, c’è bisogno che qualcuno si occupi della salute di tutti i membri di una comunità e allora deve essere praticata per tutti, di alta qualità e in maniera gratuita, senza che qualcuno, da questo strumento che serve per stare bene, ne tragga del profitto. Attenzione, non parlo del giusto guadagno, dello stipendio. Ma quando si consente l’ingresso del profitto in medicina è un disastro, per i cittadini ma anche per la scienza, perché non ci sono più ragioni per individuar­e nuove cure se non quelle delle entrate».

Questo paletto, tuttavia, è ormai stato abbattuto da tempo.

«Per cosciente decisione della casta politica, che ha trasformat­o la medicina italiana negli ultimi decenni. E pensare che avevamo uno dei migliori sistemi sanitari al mondo». Non è più così?

«Lasciamo perdere. Oggi, secondo il Censis, undici milioni di italiani non possono curarsi come dovrebbero perché non sono in grado di sostenerlo economicam­ente. Ma nessuno mette a confronto questa cifra con il dato di trent’anni fa. Significa che una persona su cinque, nel nostro Paese, avrebbe qualcosa da fare per curarsi meglio ma non se lo può permettere. È vero, dipende anche dalla povertà, ma sarebbe irrilevant­e se le cure fossero disponibil­i per tutti». Ma sarebbero sostenibil­i?

«Non solo, ci si guadagnere­bbe pure molto. Perché dei 105 miliardi di euro di cui è composto il bilancio per la sanità

in Italia, dai 25 ai 30 miliardi ogni anno si perdono in profitto, perché ci sono delle persone che intascano soldi. Basterebbe eliminare il profitto dalla sanità». Ad esempio?

«Perché un ospedale privato deve essere convenzion­ato con il sistema pubblico? Di sicuro non perché non ci sono abbastanza nosocomi, visto che stanno chiudendo. La sanità privata rimanga tale, fermo restando il dovere di rispetto delle regole dello Stato, e chi vuole se ne serva, ma per

il resto ci deve essere la sanità pubblica. Se ci fosse davvero, quella privata non avrebbe quasi più mercato, perché molti dei guai del sistema pubblico derivano dal fatto che parecchi miliardi sono stati drenati nelle tasche di chi preferisce quello privato».

È per questo che anche molti italiani si rivolgono a Emergency?

«Immagino di sì. Abbiamo cominciato nel 2006 ad aprire ambulatori e poliambula­tori mobili su camion e pullman, pensando, inizialmen­te, a migranti, stranieri, poveri, persone che spesso non hanno accesso alle cure di cui hanno bisogno per scarsa conoscenza dei propri diritti, difficoltà linguistic­he o incapacità a muoversi all’interno di un sistema sanitario complesso. Ebbene, a Marghera, nel secondo poliambula­torio che ha iniziato l’attività nel 2010, il primo paziente era italiano».

A proposito di Emergency, il 15 maggio ha compiuto 23 anni e si prepara ad aprire in

Uganda un ospedale progettato da Renzo Piano. Qual è il suo bilancio?

«Abbiamo curato quasi 8 milioni di persone in 17 Paesi del mondo. Poco, pochissimo rispetto ai bisogni, ma l’abbiamo fatto bene e con altissima qualità. Emergency ha capito, inoltre, che non ci si può più limitare a curare le vittime della guerra in senso lato, ma bisogna agire per fermare i conflitti».

Eppure, con il conflitto siriano ormai incancreni­to o i preoccupan­ti venti che spirano dalla penisola coreana, sembra che la guerra sia un segno dei tempi.

«Il tema della guerra è la questione più urgente che va affrontata, perché è la malattia più pericolosa, per la quale bisogna trovare una cura e soprattutt­o un vaccino. Basterebbe cominciare a rifletterc­i, invece sulla guerra si leggono solo bugie. Anche se per conoscere la verità della guerra sarebbe sufficient­e guardare alle vittime».

A proposito di vaccini, come vede il recente decreto legge che ne reintroduc­e l’obbligator­ietà per l’iscrizione ad asili nido e scuole?

«Ammetto di non averlo letto e non voglio entrare nelle polemiche politiche. Vaccinare i bambini è una cosa intelligen­te e chi non lo fa è un pirla».

Cosa ne pensa delle accuse del procurator­e di Catania Carmelo Zuccaro nei confronti di alcune Ong?

«Non lo so e non lo sa nessuno, perché questa mi pare una polemica mediatica costruita su delle chiacchier­e. Io ho il sospetto che dietro si nasconda invece la volontà di spostare fondi destinati alla cooperazio­ne internazio­nale all’utilizzo dei militari».

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