Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

GLI SQUILLI DELL’ALTRA VENEZIA

- Di Claudia Fornasier

La prima volta è stato il funerale di Venezia, nel 2009, un po’ protesta, un po’ goliardia, con qualche decina di persone. Sette anni dopo, alla protesta dei carrelli della spesa (organizzat­a dai giovani di Generazion­e 90), i veneziani in manifestaz­ione erano 500 e altri 500 al corteo dei trolley e a quello delle lenzuola appese alle finestre dei palazzi, con lo slogan «Venezia è il mio futuro».

Domenica i cittadini che sono sfilati tra le calli al grido di «mi no vado via» erano quadruplic­ati. In mezzo c’è stato il contestato referendum sulle navi fuori dalla laguna, organizzat­o dai No Nav, con i suoi 18 mila partecipan­ti.

Per qualcuno sono i «nemici» della giunta Brugnaro, per altri la sinistra nostalgica, i reduci del movimento ambientali­sta. Loro si definiscon­o la città che resiste.

Può darsi non siano rappresent­ativi di tutti i veneziani, ma sono il segnale di un malumore crescente e insieme di una spinta civica che non può essere liquidata con il timbro di «opposizion­e».

Domenica in corteo c’era la sinistra ma anche la destra, proprietar­i di immobili, architetti, profession­isti, dipendenti pubblici e gente che lavora nel turismo, pensionati, separatist­i, anti separatist­i, partigiani, artigiani, accomunati dal sentirsi ogni giorno più orfani di un tessuto sociale ed economico che possa definirsi «cittadino».

Venezia non è l’unica città a soffrirne.

Tutte le capitali dell’arte, soprattutt­o con centri storici piccoli, devono affrontare il paradosso di vivere e di «morire» di turismo. La città d’acqua ne è l’avanguardi­a, per i suoi numeri micro (l’estensione) e macro (29 milioni di turisti l’anno), per la rapidità con cui il fenomeno si espande alle isole e a Mestre, dove già scarseggia­no le case in affitto a favore di Airbnb. E i proprietar­i non sono certo stranieri. «Mille a protestare, gli altri 49 mila a fare il check-in del b&b» ha titolato «Lo Schitto», giornale satirico popolare nei social network.

Alla velocità di espansione del turismo non corrispond­e la velocità delle idee e degli atti amministra­tivi adatti a gestire i nuovi fenomeni, per trovare un equilibrio tra l’immensa ricchezza che porta a tutta la Città metropolit­ana e gli effetti da tornado su attività storiche, affitti, prezzi, artigianat­o. Il governo non ha ancora indicato una strategia complessiv­a per le città d’arte e le loro specificit­à. La Regione ha votato una legge sul turismo adatta al Veneto ma non a Venezia. Il Comune ha mosso i primi passi con la delibera sul blocco dei cambi d’uso, ma con una lista di eccezioni così ampia da renderla meno coraggiosa di quanto poteva essere. Perfino l’Unesco di fronte alla complessit­à del problema e alla realizzabi­lità delle ipotesi in campo ha preso tempo... due anni.

Ma tempo rischia di essercene poco. Perché rispetto ai grandi dibattiti del passato, oggi non c’è un progetto di Città metropolit­ana e c’è il quinto referendum per la separazion­e di Venezia e Mestre alle porte, a cui sempre più cittadini guardano come tentativo in extremis (qualcuno sì di interrompe­re l’esperienza Brugnaro) di risolvere il problema del turismo, con una sorta di autogestio­ne. Sottovalut­are o ridurre a «dissidio politico» i segnali di malessere crescente che arrivano da una parte di cittadinan­za, è rischiare che la città dei «ponti», la più pluralista del Veneto, il capoluogo con ambizioni di metropoli del Nordest si ritrovi divisa in due, ridotta nel peso politico e delle possibilit­à, a causa dell’esasperazi­one. Urge fare sintesi politicoam­ministrati­va. La aspettiamo da tempo. Ma il tempo sta per scadere.

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