Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA SALUTE E LA FINE DISEGUALE
«Nasciamo diversi, moriamo uguali». Così scriveva duemila anni fa Seneca, per il quale davanti alla morte si è tutti sullo stesso piano, il libero e lo schiavo diventano uguali e le diversità vengono azzerate. Idea consolatoria ed apparentemente convincente, ma non vera sociologicamente, purtroppo. Perché le disuguaglianze della vita si ripresentano davanti alla morte. Lo dice anche l’Istat quando calcola che gli uomini con licenza elementare hanno una mortalità di 1,6 volte maggiore rispetto ai loro coetanei laureati e di 1,3 volte superiore per le donne con bassa scolarità rispetto a quelle con titolo di studio alto. È un andamento che si riscontra per quasi tutte le cause di morte. Particolarmente alto l’impatto dello svantaggio sociale per cirrosi e epatite cronica con un incremento di mortalità di 3,5 volte per gli uomini e di 2,3 per le donne tra quanti hanno un basso titolo di studio rispetto a chi ha una laurea. Lo svantaggio tra le donne con basso titolo di studio è particolarmente pronunciato nel sud del paese. I differenziali per titolo di studio sono più elevati tra gli uomini per la maggior parte delle cause di morte. Ed anche in questo caso lo svantaggio della mortalità è particolarmente accentuato nelle aree meridionali. Molto pronunciato tra gli uomini con basso livello di istruzione lo svantaggio nella mortalità per le malattie croniche dell’apparato respiratorio con un tasso di 10,6 decessi per 10.000, quasi due volte superiore a quello dei laureati.
D’altronde, a parità di età, su cento laureati solo 14 fumano, contro i 29 di coloro che si sono fermati alla scuola dell’obbligo. Tra i laureati solo il 3 per cento è obeso contro il 9 dei meno istruiti mentre tra i primi i sedentari sono il 46 per cento contro il 67 di chi è in possesso della scuola dell’obbligo. Gli studi epidemiologici ci spiegano che l’aspettativa di vita è legata più al livello di istruzione che al reddito: diversamente dal passato, la scolarità contribuisce a predire l’aspettativa di vita più dell’attività lavorativa. Maggiore è il livello di istruzione, meno ci si ammala: merito della capacità di recepire i messaggi legati agli stili di vita ed alla prevenzione: l’importanza di una dieta equilibrata, un esercizio fisico frequente, l’astensione dal fumo ed il consumo moderato di alcolici, la prevenzione dell’obesità, il controllo dell’ipertensione e di altre condizioni metaboliche comuni come il colesterolo. Tutti fattori comportamentali che spiegano circa i tre quarti delle differenze nella mortalità fra i 40 ed i 70 anni. Insomma la disuguaglianza nuoce gravemente alla salute, si potrebbe dire. Non a caso il Festival dell’economia di Trento di giugno verteva proprio sulla «salute disuguale». Che, contrariamente al pensiero di Seneca, porta anche alla morte diseguale.