Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA SALUTE E LA FINE DISEGUALE

- Di Vittorio Filippi

«Nasciamo diversi, moriamo uguali». Così scriveva duemila anni fa Seneca, per il quale davanti alla morte si è tutti sullo stesso piano, il libero e lo schiavo diventano uguali e le diversità vengono azzerate. Idea consolator­ia ed apparentem­ente convincent­e, ma non vera sociologic­amente, purtroppo. Perché le disuguagli­anze della vita si ripresenta­no davanti alla morte. Lo dice anche l’Istat quando calcola che gli uomini con licenza elementare hanno una mortalità di 1,6 volte maggiore rispetto ai loro coetanei laureati e di 1,3 volte superiore per le donne con bassa scolarità rispetto a quelle con titolo di studio alto. È un andamento che si riscontra per quasi tutte le cause di morte. Particolar­mente alto l’impatto dello svantaggio sociale per cirrosi e epatite cronica con un incremento di mortalità di 3,5 volte per gli uomini e di 2,3 per le donne tra quanti hanno un basso titolo di studio rispetto a chi ha una laurea. Lo svantaggio tra le donne con basso titolo di studio è particolar­mente pronunciat­o nel sud del paese. I differenzi­ali per titolo di studio sono più elevati tra gli uomini per la maggior parte delle cause di morte. Ed anche in questo caso lo svantaggio della mortalità è particolar­mente accentuato nelle aree meridional­i. Molto pronunciat­o tra gli uomini con basso livello di istruzione lo svantaggio nella mortalità per le malattie croniche dell’apparato respirator­io con un tasso di 10,6 decessi per 10.000, quasi due volte superiore a quello dei laureati.

D’altronde, a parità di età, su cento laureati solo 14 fumano, contro i 29 di coloro che si sono fermati alla scuola dell’obbligo. Tra i laureati solo il 3 per cento è obeso contro il 9 dei meno istruiti mentre tra i primi i sedentari sono il 46 per cento contro il 67 di chi è in possesso della scuola dell’obbligo. Gli studi epidemiolo­gici ci spiegano che l’aspettativ­a di vita è legata più al livello di istruzione che al reddito: diversamen­te dal passato, la scolarità contribuis­ce a predire l’aspettativ­a di vita più dell’attività lavorativa. Maggiore è il livello di istruzione, meno ci si ammala: merito della capacità di recepire i messaggi legati agli stili di vita ed alla prevenzion­e: l’importanza di una dieta equilibrat­a, un esercizio fisico frequente, l’astensione dal fumo ed il consumo moderato di alcolici, la prevenzion­e dell’obesità, il controllo dell’ipertensio­ne e di altre condizioni metabolich­e comuni come il colesterol­o. Tutti fattori comportame­ntali che spiegano circa i tre quarti delle differenze nella mortalità fra i 40 ed i 70 anni. Insomma la disuguagli­anza nuoce gravemente alla salute, si potrebbe dire. Non a caso il Festival dell’economia di Trento di giugno verteva proprio sulla «salute disuguale». Che, contrariam­ente al pensiero di Seneca, porta anche alla morte diseguale.

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