Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Ranieri alla Fenice: «Un abito jazz alle canzoni di Napoli»
I classici della canzone napoletana di Carosone e Modugno reinterpretati in un dialogo musicale con Di Battista, Brioschi, Burgio, Fioravanti e Bagnoli «Il teatro veneziano mi emoziona, certo. Improvvisazione? Quanta se ne vuole»
«Malia è una delle cose più belle che abbia mai fatto. Ha un sapore particolare, ha tirato fuori l’anima jazz di alcune canzoni napoletane degli anni Cinquanta e Sessanta». Massimo Ranieri racconta il concerto di domani sera al teatro La Fenice di Venezia, che lo vedrà cantare affianco a big del jazz italiano come Stefano Di Battista, Marco Brioschi, Seby Burgio, Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli (ore 20.30, info www.veneziaunica.it).
Qual è il contatto tra la musica napoletana e il jazz?
«Per quanto mi riguarda ero ignorante in materia. Il jazz non è mai stato il mio forte, ma ho sentito il bisogno di avvicinarmici. Un giorno ho chiamato Mauro Pagani che mi ha esposto la sua idea di fare le canzoni degli anni ‘50 e ‘60 in chiave jazz. I due dischi, “Malia - Napoli 1950-1960” e “Malia parte seconda” sono quasi tutti registrati in diretta. Io in un gabbiotto e gli altri musicisti nei loro. Agli inizi è stata una sofferenza perché non capivo quando mi dovevo inserire. Ora per fortuna si va lisci come l’olio, ci divertiamo da impazzire».
Come mai le canzoni scelte sono proprie di quel decennio?
«Non abbiamo scelto i classici napoletani che tutti conoscono, ma i cavalli di battaglia di Renato Carosone e Domenico Modugno. In quegli anni venivamo dalla guerra; a Napoli erano arrivati gli americani, gli afroamericani e una musica che nessuno conosceva. Questo ha influito sui grandi come Carosone e Modugno e, poi, negli anni Settanta su un altro grandissimo come Pino Daniele che aveva il blues dentro».
Di quali canzoni stiamo parlando?
«In quegli anni si suonava ‘Anema e core’ e ‘Resta cu’mme’, musica soffusa, non disturbante, servire a far ballare i lenti. Modugno e Carosone hanno saputo rivoluzionare la canzone napoletana, inserendovi quella musica nuova che veniva d’oltreoceano. È stato un grande cambiamento, basta pensare a ‘Torero’ o ‘Tu vuò fà l’americano’ ma anche a ‘Musetto’, canzoni pensate per creare quell’atmosfera».
Domani, sul palco, ci sarà spazio all’improvvisazione?
«Quanta se ne vuole! Non si può mica andare dritti in una canzone, bisogna sempre improvvisare. Il risultato più clamoroso è stato al San Carlo di Napoli. Dura far digerire ai miei concittadini quelle canzoni in chiave jazz. Ma è andato tutto bene perché non abbiamo stravolto nulla, io canto le canzoni come sono state scritte e i musicisti le jazzano, senza mai pestarci i piedi».
La componente teatrale, molto forte nel suo essere artista, ci sarà comunque in questo tipo di concerto?
«Ce ne sarà molta meno. Questo è un concerto da crooner, il mio è un ruolo da Tony Bennett: la mia stella è lui».
Una location come la Fenice influisce sulla performance di un artista?
«Certo un’ascendenza su di noi ce l’ha, eccome. È un teatro che mette molta tensione e agitazione. L’ho provato sulla mia pelle quando vi ho portato lo spettacolo su Brecht. Comunque è sacrosanto che sia così».
Che cosa ama di Venezia?
«Venezia e Napoli sono due città legatissime. Chi le abita si assomiglia molto: abbiamo il mare che ci unisce, l’acqua e la natura».