Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA PROFEZIA DI BORSELLINO
«Ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà (vicecapo della Squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia il 6 agosto 1985 n.d.r.) allorché ci stavamo recando sul luogo dove era stato ucciso il dottor Beppe Montana alla fine del luglio 1985. Mi disse: ‘Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano’ (…) Ecco perchè anche oggi, qui, tra voi, ho la sensazione di essere un sopravvissuto…”.
E’ la profezia di Paolo Borsellino, non l’unica purtroppo, agli studenti dell’Istituto professionale per il commercio Remondini di Bassano del Grappa. E’ il 26 gennaio 1989 e il giudice siciliano, seppure pressato dagli impegni in Sicilia, accetta l’invito della scuola veneta. Tre anni dopo Borsellino sarà ucciso a Palermo da Cosa Nostra: è il 19 luglio 1992. Con lui muoiono anche gli agenti di scorta Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Agostino Catalano. Solo Antonino Vullo sopravviverà a quell’inferno. Venticinque anni dopo la strage di via d’Amelio a Palermo, le parole del giudice a Bassano, acquistano un significato molto particolare. Proprio perché pronunciate in Veneto e in tempi non sospetti, proprio perché hanno come scenario un territorio a lungo considerato dal resto d’Italia «modello» alla voce legalità. Anni dopo, sotto i colpi dei tanti, troppi scandali, lo stesso Veneto scoprirà di aver perduto la verginità e non sarà più immune dal rischio di infiltrazioni mafiose. Quel giorno Borsellino, davanti a studenti e insegnanti del Remondini, non usa mezzi termini nella definizione del rapporto malato fra mafia e politica, anche a Nord st: «L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice, ‘quel politico era vicino ad un mafioso’, ‘quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose’, però la magistratura non lo ho ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto’. Eh no! – sbotta Borsellino davanti agli studenti – Questo ragionamento non va, perché la magistratura può fare un accertamento solo di carattere giudiziale». Nella sua lunga carriera, Borsellino ha sempre creduto che Cosa Nostra fosse un fenomeno non solo trasversale ma anche transnazionale, capace di oltrepassare i confini siciliani e arrivare anche al nord Italia, in Europa e nel mondo. Con Giovanni Falcone, l’amico-magistrato ucciso sempre da Cosa Nostra a Capaci il 23 maggio 1992, Borsellino firmò decine di rogatorie internazionali, dagli Stati Uniti al Sud America fino al Sud Africa.
Agli studenti dell’Istituto Remondini Borsellino dirà di più. Nel rispondere ad una domanda di un giovane sulla presunzione d’innocenza, afferma: «Dimmi un po’, tu non ne conosci gente che è disonesta ma non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarlo, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe quantomeno indurre i partiti politici a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti ma apparire onesti, - sottolinea il magistrato - facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati». Parole che in Veneto, ventotto anni dopo, dovrebbero far riflettere.