Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I soldi delle tangenti? Nascosti nel corrimano della scala a chiocciola
Inchiesta di Venezia, la confessione: le banconote trovate arrotolate e incastrate
VENEZIA Massimo Esposito – l’ex dirigente dell’Agenzia del- le Entrate arrestato nell’ambi- to dell’inchiesta sulle tangenti per ottenere lo sconto delle sanzioni fiscali, con l’accusa di aver ottenuto 90 mila euro dal- l’imprenditore jesolano Aldo Bison – i soldi li nascondeva in un posto ingegnoso: il corri- mano della scala a chiocciola di un appartamento, da cui è spuntata la bellezza di 60 mila euro in contanti. Un posto a cui i finanzieri sono arrivati dopo che lo stesso Esposito lunedì scorso aveva deciso di confessare la corruzione.
VENEZIA Altro che sotto il cuscino o nel materasso. Non il pouf da 10 miliardi di lire di Duilio Poggiolini ma nemmeno la buca nel giardino, per restare all’inchiesta Mose, dove il generale Emilio Spaziante aveva sotterrato 200 mila euro. Massimo Esposito – l’ex dirigente dell’Agenzia delle Entrate arrestato il 16 giugno nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti per ottenere lo sconto delle sanzioni fiscali, con l’accusa di aver ottenuto 90 mila euro dall’imprenditore jesolano Aldo Bison – i soldi li nascondeva in un posto ingegnoso: il corrimano della scala a chiocciola di un appartamento, da cui è spuntata la bellezza di 60 mila euro in contanti. Un posto a cui i finanzieri sono arrivati dopo che lo stesso Esposito lunedì scorso, di fronte ai pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, aveva deciso di confessare la corruzione e di rivelare dove fossero finiti i soldi: gli uomini del Nucleo di polizia tributaria ci hanno messo delle ore per smontare il corrimano e tirarli fuori, dato che erano incastrati.
Un ennesimo macigno sull’imputazione che riguarda Esposito e Bison, con l’aiuto dell’altro dirigente dell’Agenzia Elio Borrelli. Probabile che ora per Esposito si aprano le porte del carcere. Borrelli ha poi confessato anche la tentata corruzione del commercialista Augusto Sartore, pure lui ancora in cella. La guerra tra procura e difese è invece ancora in corso sugli altri tre episodi di corruzione contestati: quello della Baggio Trasporti, che vede coinvolti il finanziere Vincenzo Corrado, il dirigente dell’Agenzia Christian David e la commercialista Tiziana Mesirca; quello della Burimec di Pietro Schneider, con Corrado e l’altro ufficiale delle fiamme gialle Massimo Nicchiniello, accusato di aver addomesticato una verifica fiscale a Udine; e infine quello della Cattolica Assicurazioni, che vede sotto accusa Borrelli, Corrado, David e il giudice tributario Cesare Rindone, corrotti dai manager Albino Zatachetto e Giuseppe Milone. Posizioni scompigliate dal tribunale del riesame, che martedì ha liberato Mesirca e Nicchiniello e scarcerato Corrado, David e Zatachetto, mandandoli ai domiciliari.
L’ipotesi che circola in procura – in attesa delle motivazioni del riesame – è che per Baggio e una parte del filone Cattolica possa essere stato ipotizzato dai giudici il traffico illecito di influenze, reato meno grave che non prevede il carcere. Questo nonostante gli imprenditori Paolo Maria Baggio, Paolo Tagnin e Schneider avessero confermato la ricostruzione della procura. «Quelle dichiarazioni sembrano un pezzo di storia cupa rispetto alla più luminosa realtà rappresentata dal tribunale, che le ha ritenute infondate o comunque ininfluenti», dice l’avvocato Fabio Crea, difensore di Corrado.
Sul filone Cattolica ieri è arrivata la confessione di Rindone, già liberato mercoledì dopo il Riesame. Il giudice ha ammesso di aver spinto sui manager per l’assunzione di Mauro Ginesi, amico suo e di Corrado, come favore per aver risolto loro la questione dell’accertamento, calato da 8,8 a 2,6 milioni. Rindone avrebbe infatti presentato Corrado a Zatachetto e Milone e nelle intercettazioni tra loro si parlava di «ritorno», dicendo che quello sconto «ce lo giochiamo alla grande». Anche perché tra i verbali della procura c’è anche un membro dell’ufficio del personale di Cattolica che ha raccontato che l’assunzione di Ginesi sarebbe avvenuta in maniera del tutto anomala: firmata dall’allora ad Giovan Battista Mazzucchelli e proprio un paio di giorni prima di dimettersi. Il dipendente avrebbe poi spiegato che dell’incarico dato a Ginesi, quello di esperto di antiriciclaggio, non c’era necessità.