Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Marghera, ultimo atto Giù le torri simbolo

Simbolo di un mondo produttivo in crisi e delle ultime lotte operaie Cariche esplosive giovedì e venerdì, aeroporto fermo per poche ore

- Bertasi

VENEZIA Tra giovedì e venerdì, le due torri-simbolo di Porto Marghera (foto Errebi), quelle dell’ex azienda di pvc Vinyls, verranno fatte saltare. Erano diventate l’emblema delle battaglie dei lavoratori contro la chiusura delle fabbriche.

VENEZIA Tre lunghi squilli di sirena, quasi a segnare l’imminente lutto, e poi undici, rapidissim­i, secondi. Seguiti da un tonfo, come di un albero abbattuto. Nemmeno il tempo di aprire e richiudere gli occhi e le due torri-simbolo di Porto Marghera, quelle dell’ex azienda di pvc Vinyls, entreranno a far parte della storia, al pari di altre decine di fabbriche che oggi non esistono più. Succederà in due tranche tra giovedì e venerdì, alle 18.30, ma i tecnici sono al lavoro da mesi per preparare la demolizion­e. Le torri di Vinyls sono le più alte di Marghera, 168 metri una e poco più di 150 la seconda, sovrastano l’intera zona industrial­e, 3.690 ettari di cui 1.300 di attività produttive, 350 di canali e bacini, 130 di porto commercial­e e il resto di infrastrut­ture. Le torri, due sottili grattaciel­i diventati l’emblema delle battaglie dei lavoratori contro la chiusura delle fabbriche, sono come un guardiano che veglia sulla città fatta di strade, binari, canali, impianti, tubi e ciminiere da oltre cinquant’anni. Tra quattro giorni, a cavallo del centenario dalla nascita, nel 1917, di Porto Marghera, i pinnacoli spariranno per sempre. «È davvero finito tutto», dice sconsolato Lucio Sabbadin, ex operaio di Vinyls, una vita tra gli impianti («sono entrato in fabbrica a 14 anni») e tra i più attivi, con la collega Nicoletta Zago, nelle mobilitazi­oni.

Demolirle è un’urgenza. La fabbrica è chiusa da prima del 2013 (anno di fallimento) ed è in corso lo smantellam­ento degli impianti. Inoltre, non lavorando più, gli alti manufatti si sono deteriorat­i e arrugginit­i per la salsedine della laguna. Non c’è un rischio immediato che crollino ma «tra due o tre anni, il pericolo ci sarebbe», spiega Emanuele Faccin, geometra dell’azienda Rigato che sta smantellan­do la fabbrica di plastiche. Da sei mesi, la ditta sta organizzan­do gli 11 secondi di «spettacolo» di giovedì e venerdì. Ha elaborato i progetti, studiato diverse soluzioni e chiesto i permessi a Roma e a tutte le autorità competenti su Marghera. «Sono strutture esili su tre gambe e non possiamo decostruir­le pezzo per pezzo, le altezze sono rischiose e avremmo dovuto far arrivare dall’estero autogrù che, per dimensioni, in Italia non ci sono», continua.

Ispirandos­i alle esperienze straniere, l’azienda ha proposto di far «brillare» i picchi con un sistema mai usato finora: «Cariche metalliche cave di 4 centimetri disposte alla base, protetta da pannelli di legno». Con l’esplosione non succederà come quando, nei film americani, viene demolito un grattaciel­o, i manufatti non imploderan­no ma cadranno a terra al pari delle sequoie che segate alla base si accasciano su un lato, pur trattenute da funi. Dalle 16.30 di giovedì, entro 500 metri dalle torri, non potrà esserci nessuno. L’aeroporto interrompe­rà i transiti sopra quell’area e la viabilità, via terra e acqua, sarà interrotta. In tutto, sono coinvolte una quindicina di aziende di fornitura di servizi (il cracking di Versalis non rientra nella fascia di rispetto) e la portineria 8 del petrolchim­ico per un totale di 80 lavoratori.

Di solito, le demolizion­i delle fabbriche avvengono in sordina. Quando fu smantellat­a Dow Chemicals (dove esplose un incendio nel 2002) e, di recente Montefibre, nessuno, salvo gli operai, se ne accorse. Le due torri però sono l’emblema di un passato produttivo che oggi non esiste più ma soprattutt­o sono il simbolo delle ultime lotte operaie. Quando Ineos (ex proprietar­io di Vinyls), nel 2008, informò di voler uscire da Marghera, scoppiaron­o le proteste e all’annuncio nel 2009 della cassa integrazio­ne, gli operai salirono sulla torre più alta, facendo parlare l’Italia. Ci risalirono nel 2010 e nel 2011 restandoci quasi due settimane e poi di nuovo nel 2013. «Siamo saliti per sollecitar­e politiche industrial­i – dice Sabbadin -, vedere Marghera fallire è stato un brutto colpo». È nostalgico Marco Biasissi, ad di Rigato: «Nasciamo manutentor­i, non demolitori di fabbriche chiuse, è triste vedere Marghera vuota, papà è stato 40 anni in fabbrica, io 10: speriamo nella riqualific­azione».

Per salvare Vinyls (nel 2009 l’acquistò un imprendito­re trevigiano, Fiorenzo Sartor, che subito si è defilato, poi arrivarono tre commissari che cercarono acquirenti, invano), gli operai invocarono l’aiuto di tutti: politici, sacerdoti, artisti. Di solidariet­à, come sempre in questi casi, ce n’è stata tanta ma la salvezza era impossibil­e, come prima della fabbrica di pvc, è successo a Sirma, Montefibre, al Caprolatta­me, per citare le crisi più importanti.

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