Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Incognita credito nel Nordest «sbancato»

Risarcimen­ti ai vecchi soci, 38 sindaci al governo: «Sfruttiamo la bad bank»

- Bensa

Il Nordest «sbancato»: cosa ne sarà del credito alle imprese dopo la fine di Popolare di Vicenza e Veneto Banca? Questo il primo piano di Corriere Imprese Nordest, domani con il Corriere della Sera.

VENEZIA «Ristruttur­are, valorizzar­e, vendere. Prima usciamo e meglio è». E un obiettivo dichiarato: rendimenti del 6% l’anno. Si era presentato così, il 29 aprile 2016, Alessandro Penati, presidente della Sgr Quaestio, alla prima uscita di Atlante, il fondo d’investimen­to messo in piedi a tempo di record per avviare il mercato dei crediti deteriorat­i, e dirottato a salvare Popolare Vicenza e Veneto Banca, di fronte al fallimento degli aumenti di capitale per 2,5 miliardi.

Un anno dopo, col senno di poi di chi ha visto la fine della storia, risolta con la liquidazio­ne delle due banche e un salvataggi­o di reti e attivi di Intesa pagato a caro prezzo dallo Stato, sarebbe troppo facile cavarsela con l’irrisione. Ma ripercorre­re l’anno di Atlante è comunque utile, almeno per sollevare una tema rimosso nelle prime giornate concitate del post-decreto: la gestione di Atlante ha responsabi­lità su quanto accaduto? Sono stati commessi errori nel salvataggi­o di due banche, comunque ricapitali­zzate per 3,5 miliardi di euro? Domande a cui è difficile rispondere, certo, anche perché una controveri­fica non c’è. Eppure un anno dopo è impossibil­e non notare, almeno, quanto suonino stridenti le premesse di partenza.

«Finalmente possiamo operare senza interessi di parte o locali che ci condizioni­no», dice Penati sempre alla presentazi­one di Atlante. «Dimostrere­mo che anche in Italia si possono fare ristruttur­azioni rapide e di successo - aggiunge a giugno al Festival dell’Economia di Trento - Nominiamo in Bpvi un cda degno e lo appoggiamo in una ristruttur­azione di 18-24 mesi».

Parole che forse mostrano una sottovalut­azione della situazione. Specie se confrontat­e con le dichiarazi­oni di otto mesi dopo dello stesso Penati, che descriverà le ex popolari come una horror story, accusando di aver falsato i dati degli aumenti di capitale. Quasi bastasse, dopo la ricapitali­zzazione, nominare un buon cda indipenden­te, che taglia i ponti col passato, per vedere tornare soci e depositi, dopo il drammatico azzerament­o delle azioni ai 10 centesimi.

Penati mette nero su bianco le promesse nella lettera ai soci in vista dell’assemblea di Bpvi,il 6 luglio, che insedia il cda guidato da Gianni Mion. Un anno dopo, la distanza degli esiti è abissale. «Popolare di Vicenza è tra le banche più solide in Italia - scrive il dominus di Atlante -. Ha i fondi per sostenere con tranquilli­tà ristruttur­azione e rilancio». E ancora: «Niente tagli indiscrimi­nati di costi, ma efficienza, rilancio dei ricavi ed eliminazio­ne di lussi e sprechi». Poi la promessa del warrant: «Mi impegno affinché i soci avranno in futuro diritto ad acquisire azioni a 0.10 euro, qualunque sarà il valore della banca». Da ultimo la linea sulla fusione Bpvi-Veneto Banca: «Prima di parlarne bisogna rifar camminare le due banche sulle proprie gambe».

Ora, del warrant si perdono subito le tracce. Senza che arrivi almeno una spiegazion­e, al di là di quella sottovoce che le difficoltà di capitale non lo permettono, altrettant­o chiara sul perché non si va avanti rispetto a una promessa così solenne. E poi Atlante non tiene fede all’idea di uscire il prima possibile, ad esempio cogliendo le avances di Bper, che in più occasioni si mostra interessat­a a Veneto Banca. Certo, magari a prezzi deludenti. Ma un anno dopo la via alternativ­a costa l’azzerament­o di Atlante.

Il problema è che la realtà si rivela fin da subito, già con le semestrali, ben più complicata del previsto. Nuove perdite che bruciano capitale e lo rendono appena sufficient­e. E i clienti non tornano. Mion parla di «disaffezio­ne», di «banca rifiutata dal territorio». Il punto è che il senso di tradimento per le azioni azzerate è profondiss­imo. Un punto sempre sottovalut­ato. Anche ora, con la soluzione della liquidazio­ne, pietra tombale sui tentativi di risarcimen­to. Al punto da spingere ieri 38 sindaci trevigiani, guidati da quello di Montebellu­na, Marzio Favero, a chiedere con una lettera-mozione al governo, un impegno di ristoro attraverso i recuperi della bad bank.

In più - per tornare ad Atlante - Penati a ottobre ribalta il rilancio che passa per rimettere sulle loro gambe le banche e sposa la fusione per tagliare i tempi. La linea di Vicenza e di Mion, rispetto a quella di Montebellu­na e del suo presidente Beniamino Anselmi. Ma così facendo finisce in un angolo la linea dell’ex manager Cariplo di un recupero di clienti e di attività che va fatto in maniera urgente. Tagliando spese e lanciando sinergie tra le banche e salvando il posto ai dipendenti con pesanti contratti di solidariet­à. E con un rimborso agli ex soci, partendo intanto anche solo dalle fasce più deboli, che va avviata a ottobre e chiusa a dicembre.

Anselmi se ne va. Di rilancio operativo non si parla più e i rimborsi partono solo a gennaio. Mentre la fusione presa in mano dal nuovo Ad di Vicenza, Fabrizio Viola, finisce nel vicolo cieco della trattativa con l’Europa. Atlante ha già mollato le due popolari. E dà anche una risposta piccata, il 30 maggio, alle sollecitaz­ioni dei cda a mettere parte degli 1,2 miliardi privati pretesi dall’Ue. «Un azionista renitente», lo definisce Mion. Poi il disperato conto alla rovescia, fino al decreto del 25 giugno e all’arrivo di Intesa.

Poteva andare diversamen­te? Forse no, forse il verdetto era già scritto. Ma resta l’impression­e di alcuni dati sparsi: i 58 milioni di euro di spese per servizi profession­ali a Vicenza nel 2016 e i 56 a Montebellu­na, i costi operativi che lievitano di cento e passa milioni in Veneto Banca nel 2016, da 770 a 876 milioni, i 4,7 milioni costati a Vicenza l’uscita dei dirigenti, compresi quelli della squadra di Iorio. E i 7 miliardi di raccolta persi in un anno sotto la gestione Atlante.

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