Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Crescente, la Padova del Dopoguerra e la Dc «globale»

IL LIBRO Jori e Giaretta ricostruis­cono la figura del sindaco che governò la città dal 1947 al 1970. Dalla zona industrial­e alle cliniche universita­rie: una politica interventi­sta che ebbe costi e successi

- De Michelis

C’erano un tempo i buoni e bravi sindaci che restavano in carica per decenni senza bisogno di «ricambi» forzosi, imposti da una legge che diffida della continuità e dell’esperienza per affidarsi al cambiament­o, giacché «il lupo perde il pelo ma non il vizio».

Esemplare in questo senso la storia lunga ventitré (23!) anni dell’avvocato Cesare Crescente, che nel Municipio di Padova entrò, dopo le elezioni vinte dalla Democrazia Cristiana, il 28 aprile 1947 per affrontare l’urgente ricostruzi­one di una città duramente ferita dai bombardame­nti e bisognosa di risorse e fiducia, e uscirne ultra ottantenne nel 1970, dopo aver guidato anche il primo centrosini­stra della città del Santo.

Crescente, insomma, non fu solo il sindaco del dopoguerra, ma anche e soprattutt­o quello della rinascita e dello sviluppo, attento a trovare un consenso largo, più largo di quello dei suoi elettori, sulle decisioni più significat­ive, secondo una pratica politica che divenne caratteris­tica di una DC conservatr­ice e lungimiran­te, che si riassunse nello slogan «progresso senza avventure».

Il partito dei cattolici si distinse per la capacità di un rinnovamen­to costante della sua «linea» politica, che gli consentì di presentars­i non come difensore degli interessi di una parte della società contro un’altra, ma come la classe dirigente necessaria a un Paese che, cento anni dopo la sua unificazio­ne, ancora inseguiva una sua identità, e paradossal­mente a dargliela invitava quei cattolici che da sempre si erano opposti a ogni aspirazion­e «risorgimen­tale».

Eppure la DC non è affatto il nuovo partito dei «trasformis­ti», pronti a seguire la rotta indicata dal vento che tira, ma l’interprete di una sentimento coinvolgen­te e universale, che da subito dopo la Grande Guerra, interpreta­ndo la dottrina sociale di una chiesa non più arroccata, si apre generosame­nte all’accoglienz­a e al confronto, anche rinnovando i propri propositi nel tentativo di non lasciare indietro nessuno.

Di questo partito a-ideologico e al tempo stesso «globale» Crescente fu un interprete fedele, privo di ogni partigiane­ria, volendo essere il sindaco «di tutti i padovani», soprattutt­o intervenen­do con scelte e progetti di largo respiro che consentiss­ero un profondo cambiament­o della città.

Difficile, dunque, disegnarne un ritratto fedele senza fare i conti col fatto che quel partito -l’antico Partito Popolare o la Democrazia Cristiana- non c’è più, travolto dalla crisi della prima Repubblica, e i cattolici ora sono dispersi un po’ ovunque negli schieramen­ti politici; difficile perché i meriti di Crescente mal si intendono senza una riflession­e sulla DC che per molte ragioni viene continuame­nte rinviata.

L’impresa che Paolo Giaretta e Francesco Jori hanno coraggiosa­mente affrontato ricostruen­do la vita del sindaco - La Padova del sindaco Crescente (1947-1970), Il Poligrafo, 190 pagine, 22 euro - allarga il suo sguardo sulla Padova vincente degli anni Cinquanta e Sessanta, sulla zona industrial­e di Camin, sul nuovo Piano Regolatore di Luigi Pic- cinato, sulle cliniche universita­rie, sull’idrovia, la terza corsia autostrada­le, il raddoppio del cavalcavia ecc.

Gli autori sono costretti a segnalare i prezzi che il centro storico dovette pagare a questa politica interventi­sta, dalla distruzion­e di interi quartieri, all’interramen­to delle riviere, al disordine delle periferie, ma non cercano neppure di interpreta­rne le ragioni, difficilme­nte riducibili - mi pare a un favoreggia­mento della speculazio­ne, se è vero che la nuova popolazion­e inurbata quasi raddoppiat­a - venne rapidament­e integrata senza tensioni e che le imprese industrial­i si moltiplica­rono rapidament­e, certo con un grande sforzo pubblico per le infrastrut­ture e i servizi e per liberare da molti vincoli l’intraprend­enza degli imprendito­ri.

Insomma Crescente fu il sindaco giusto di una Padova che si espandeva e cresceva, e seppe formare con il vescovo Girolamo Bortignon e il rettore Guido Ferro una solida alleanza che, anche quando partivano da idee diverse, li convinse a trovare accordi per fare; col ‘68 la situazione precipitò e ci vollero tutti i terribili anni settanta per ritrovare una strada da percorrere con un po’ di entusiasmo.

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