Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il Premio Berto all’Africa di Caminito
«La grande A» della 29enne romana giudicato miglior romanzo d’esordio. Una vicenda ambientata tra Etiopia ed Eritrea coloniali che prende spunto da una storia familiare
Ieri sera la ventinovenne romana Giulia Caminito è stata proclamata vincitrice del Premio Letterario Giuseppe Berto, nella Piazzetta del Teatro a Mogliano Veneto. A conquistarle la palma è stato il suo romanzo d’esordio, La grande A (Giunti, 288 pagine, 14 euro): l’autrice - classe 1988 e laureata in Filosofia politica - lo ha ambientato tra Etiopia ed Eritrea coloniali, nei luoghi dove la sua bisnonna guidava i camion e contrabbandava alcolici, i suoi nonni si sono incontrati e suo padre è nato, attingendo liberamente alle vicende della propria famiglia. «A spingermi nel lavoro di ricerca – quasi cinque anni in tutto, ndr - è stato il voler capire l’attualità, un compito per cui la letteratura può fare da punto di partenza: moltissimi italiani di seconda generazione vengono dai paesi che l’Italia ha occupato – ha spiegato la scrittrice - Ho anche colto come la comunità italiana in Africa fosse un microcosmo chiuso con scarsi contatti con la popolazione locale: credo sia una caratteristica anche dell’Italia di oggi e il conservatorismo nella cucina ne è un esempio».
Il libro prende le mosse nel secondo Dopoguerra, con una storia di emigrazione verso la «terra promessa» d’Africa, «La grande A», appunto: caricata di immaginazione e aspettative, è la meta del viaggio della piccola Giada, da Milano ad Assab, in Eritrea, per ricongiungersi alla madre Adi che lì gestisce un bar. Il rapporto tra Giada e Adi e il loro confronto sono il cardine attorno al quale ruota la narrazione della presenza italiana nel Corno d’Africa, tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
La cinquina finale radunava tre scrittori e due scrittrici da varie parti d’Italia, i cui lavori sono stati selezionati tra la cinquantina di opere prime partecipanti. C’erano il trevigiano Nicola De Cilia – suo
Uno scandalo bianco (Rubbettino, 290 pagine, 14 euro), la storia di una caduta personale all’inizio degli anni Ottanta - , ma anche Parigi è un desiderio (Ponte delle Grazie, 320 pagine, 16 euro) in cui Andrea Inglese racconta tra mito giovanile e maturità la capitale francese, per cui ha lasciato la sua Milano; completavano la rosa gli esordi Un buon posto dove stare (La nave di Teseo, 165 pagine, 16 euro), undici storie di fragilità nella quotidiano narrate da Francesca Manfredi, emiliana d’origine e residente a Torino, e Orfanzia (Bompiani, 240 pagine, 16 euro), lavoro del napoletano Athos Zontini sulla lotta di un bimbo nella processo di crescita.
Oltre all’ambientazione coloniale, poco frequente nella narrativa italiana, a orientare i giurati verso La grande A è stata la visione che ne ha dato l’autrice, composta e credibile, senza retorica e senza esotismo.
«Giulia Caminito ha raccontato una lontana e sepolta storia di famiglia per sentito dire. Ascoltando ricordi di chi c’era, spesso in seconda battuta, ritrovando vecchie testimonianze, ripescando cose dimenticate. Il merito del suo libro è che fa rivivere quel passato come se lei fosse stata lì accanto alle sue ave, loro contemporanea», ha commentato il critico e giornalista del Corriere della Sera Antonio D’Orrico, che ha presieduto i giurati Cristina Benussi ed Enza Del Tedesco, entrambe dell’Università di Trieste, poi Giuseppe Lupo della Cattolica di Milano, la scrittrice Laura Pariani e i giornalisti e critici Stefano Salis (Il Sole 24 Ore) e Alessandro Zaccuri (Avvenire).
Si tratta della venticinquesima edizione del Premio intitolato allo scrittore moglianese e organizzato dalla Fondazione in suo nome: dal 1988 unisce i Comuni Mogliano Veneto e Ricadi, in Calabria, dove Berto scelse di risiedere.