Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Interrogato Monorchio spuntano nuove accuse
Era presidente di una società che ha ricevuto 4 milioni da Bpvi LE INCHIESTE POPOLARE VICENZA
VICENZA Due ore e mezza dopo essersi presentato (in anticipo) in un ufficio della procura, al quarto piano del tribunale di Vicenza, Andrea Monorchio, finito nell’inchiesta monstre sul dissesto della Banca Popolare di Vicenza di cui è stato vicepresidente del cda, inforca la porta, scortato dal suo avvocato. Sono le 17. Il 78enne, ex Ragioniere generale dello Stato, abbozza un sorriso. Sembra sereno, come se si fosse liberato di un peso. Ma non proferisce parola con i giornalisti. Procede verso il corridoio e, composto, risponde con il silenzio alle nostre domande, alza la mano come a dire «no, grazie». Mentre stringe al petto quella cartellina colorata con cui era arrivato, in cui probabilmente custodiva alcuni appunti, forse alcuni documenti da esibire. Di certo ha chiesto lui di essere sentito dai pm Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori titolari dell’inchiesta e non ha depositato alcuna memoria difensiva. Questo a sentire il suo legale, Enrico Ambrosetti, che commenta: «Ha chiarito la sua posizione, il mio assistito è sereno sul suo operato».
E’ stato un interrogatorio di «poche» ore quello a cui è stato sottoposto in procura Monorchio, l’undicesimo iscritto (negli ultimi mesi) assieme ad altri otto ex vertici e amministratori di BpVi e allo stesso istituto di credito. Un interrogatorio breve se confrontato con quello dell’ex presidente Gianni Zonin (svoltosi addirittura in due trance, per 5 e 7 ore), e dell’ex amministratore delegato Samuele Sorato (sei ore).
L’economista e docente universitario che entrò nel gruppo BpVi prima come vicepresidente della siciliana Banca Nuova e poi, chiamato da Zonin, dall’ottobre 2011, come vicepresidente del cda di via Battaglione Framarin (per quell’incarico nel 2015 risulta aver incassato 294mila euro), risponde come gli altri di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Ma anche di mendaci dichiarazioni rese su documenti di investimento (articolo 173 bis, «falso in prospetto» previsto dal Testo Unico Finanza). Per l’accusa il Cavaliere della Repubblica avrebbe avuto un ruolo in alcune operazioni, dagli aumenti di capitale agli «scavalcamenti» ma anche nel sistema di «operazioni baciate» (finanziamenti destinati ad acquisto di azioni proprie) che avrebbero eroso il capitale di vigilanza, con il crollo del titolo da 72 euro a 10 centesimi. E nello specifico una «baciata» da 4 milioni di euro avrebbe interessato la società di cui Monorchio era presidente, la Micoperi Marine Contractors di Ravenna (una delle aziende impegnate nel recupero del relitto della Costa Concordia). «Finanziamenti e acquisti sono stati una coincidenza», avrebbe spiegato l’indagato ai pm nell’interrogatorio. Ed ancora, rispetto alle altre operazioni: «Ero convinto della solidità della banca», ha dichiarato il 78enne, che anche se in pensione dal 2002 (con uno stipendio di circa 10 mila euro al mese) ha continuato a ricoprire incarichi pubblici, tra cui quello di presidente di Consap, spa interamente nelle mani del ministero dell’Economia.
Lui che si è trovato più volte a gestire la contabilità pubblica, anche in momenti non facili, come nell’estate 1992, quando l’Italia rischiò la bancarotta e Giuliano Amato ne uscì varando i decreti di svalutazione della lira. Un uomo il cui nome è comparso più volte sulle prime pagine dei giornali negli anni ‘90. Un solo uomo e una ventina di incarichi tra onorari e direttivi. Ora finito anche lui nello tsunami giudiziario legato alla banca del territorio: un’inchiesta da mezzo milione di pagine, che presto potrebbe arrivare ad una svolta. Almeno per una prima parte: a breve potrebbero essere chiuse le indagini per i reati più datati (a partire dal 2012), quelli che vedono coinvolto Zonin. Per andare verso il processo.