Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA POVERTÀ RIALZA LA TESTA
Siamo (ancora) poveri? Detto diversamente, come stiamo dopo la fine della grande crisi e l’inizio della ripresa, una ripresa certamente gracile, incerta ed insopportabilmente timida? I dati dell’Istat sulla povertà appena sfornati permettono almeno tre elementi di riflessione. Il primo è che, purtroppo, la povertà rimane stabile. In Italia come in Veneto. Insomma la povertà appare un fastidiosissimo compagno di viaggio che non riusciamo mai ad allontanare convenientemente. Dice infatti l’Istat che sia la povertà assoluta che quella relativa nel 2016 hanno grosso modo replicato le dimensioni dell’anno prima. Sia in termini di famiglie che di persone coinvolte. In particolare in Veneto la povertà relativa passa dal 4,9 per cento del 2015 al 5,5 del 2016, un incremento leggerissimo che pero’ sembra andare contro l’idea di un miglioramento della congiuntura economica. Il secondo aspetto sta nel disegno di un’Italia che è tutto meno che unitaria. Anzi, sempre meno unitaria. Perchè da un punto di vista socioeconomico infatti il nostro paese si va deformando come le due parti di una grande clessidra, spaccato tra un centronord ed un sud con velocità e tendenze di sviluppo sempre più differenziate e lontane. Sulla povertà (relativa)i dati sono emblematici: si oscilla tra il 5,7 per cento del nord ed il 19,7 del Mezzogiorno, con la punta massima del 35 per cento della Calabria, (sempre) la regione più povera del paese. Lo stesso ufficio studi degli Artigiani di Mestre (Cgia) ha rilevato – prendendo in considerazione il Pil pro capite, l’occupazione, la disoccupazione e l’esclusione sociale – come il divario tra le due Italie continui nonostante tutto a crescere. Un divario che non si limita agli aspetti socioeconomici, ma diventa sempre più anche geopolitico. Infine – terzo aspetto – c’è il discorso della disuguaglianza non territoriale ma tutta interna alla società italiana. Sembra infatti dai dati dell’Istat che il modo migliore per battere la povertà sia quella di rimanere single e di evitare accuratamente di avere figli. Insomma un quadro opposto a quello che richiederebbe una demografia equilibrata ed oggi necessaria per invertire il disastro della denatalità. Possiamo consolarci pensando al fatto che l’indice di disuguaglianza (rapporto tra i redditi del 20 per cento piu’ ricco e quelli del 20 più povero) è in Veneto il più basso d’Italia (3,8, contro l’8,3 della Sicilia), ma non può consolare il fatto che la disuguaglianza - a partire dagli anni ottanta – sia comunque ritornata ad alzare la testa.