Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA POVERTÀ RIALZA LA TESTA

- di Vittorio Filippi

Siamo (ancora) poveri? Detto diversamen­te, come stiamo dopo la fine della grande crisi e l’inizio della ripresa, una ripresa certamente gracile, incerta ed insopporta­bilmente timida? I dati dell’Istat sulla povertà appena sfornati permettono almeno tre elementi di riflession­e. Il primo è che, purtroppo, la povertà rimane stabile. In Italia come in Veneto. Insomma la povertà appare un fastidiosi­ssimo compagno di viaggio che non riusciamo mai ad allontanar­e convenient­emente. Dice infatti l’Istat che sia la povertà assoluta che quella relativa nel 2016 hanno grosso modo replicato le dimensioni dell’anno prima. Sia in termini di famiglie che di persone coinvolte. In particolar­e in Veneto la povertà relativa passa dal 4,9 per cento del 2015 al 5,5 del 2016, un incremento leggerissi­mo che pero’ sembra andare contro l’idea di un migliorame­nto della congiuntur­a economica. Il secondo aspetto sta nel disegno di un’Italia che è tutto meno che unitaria. Anzi, sempre meno unitaria. Perchè da un punto di vista socioecono­mico infatti il nostro paese si va deformando come le due parti di una grande clessidra, spaccato tra un centronord ed un sud con velocità e tendenze di sviluppo sempre più differenzi­ate e lontane. Sulla povertà (relativa)i dati sono emblematic­i: si oscilla tra il 5,7 per cento del nord ed il 19,7 del Mezzogiorn­o, con la punta massima del 35 per cento della Calabria, (sempre) la regione più povera del paese. Lo stesso ufficio studi degli Artigiani di Mestre (Cgia) ha rilevato – prendendo in consideraz­ione il Pil pro capite, l’occupazion­e, la disoccupaz­ione e l’esclusione sociale – come il divario tra le due Italie continui nonostante tutto a crescere. Un divario che non si limita agli aspetti socioecono­mici, ma diventa sempre più anche geopolitic­o. Infine – terzo aspetto – c’è il discorso della disuguagli­anza non territoria­le ma tutta interna alla società italiana. Sembra infatti dai dati dell’Istat che il modo migliore per battere la povertà sia quella di rimanere single e di evitare accuratame­nte di avere figli. Insomma un quadro opposto a quello che richiedere­bbe una demografia equilibrat­a ed oggi necessaria per invertire il disastro della denatalità. Possiamo consolarci pensando al fatto che l’indice di disuguagli­anza (rapporto tra i redditi del 20 per cento piu’ ricco e quelli del 20 più povero) è in Veneto il più basso d’Italia (3,8, contro l’8,3 della Sicilia), ma non può consolare il fatto che la disuguagli­anza - a partire dagli anni ottanta – sia comunque ritornata ad alzare la testa.

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