Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Giustizia, la pianta organica del Veneto è vecchia di 60 anni»
«Tarata ancora su una regione agricola. Poco personale»
VENEZIA Figlia d’arte (il padre è stato procuratore generale a Milano), in magistratura dal 1979, dopo una lunga esperienza maturata fra Tribunale e Corte d’Appello del capoluogo lombardo, negli ultimi quattro anni ha centrato una serie di obiettivi altrove irraggiungibili. Da presidente del Tribunale di Cremona, oltre a concretizzare l’accorpamento di quello di Crema, ha adottato il processo civile telematico e la vendita telematica dei beni pignorati, nel processo penale ha introdotto l’audizione a distanza di testimoni, parti e periti tramite videoconferenza e per la prima volta ha inaugurato la gestione interamente «a distanza» di un procedimento. Il maxiprocesso sul Calcio scommesse. «Risultati raggiunti grazie alla poderosa convergenza di forze tra magistrati togati e onorari, personale amministrativo, Foro e istituzioni. Convergenza che auspico continui in questa Corte prestigiosa e difficile».
Parla chiaro Ines Maria Luisa Marini, la nuova presidente della Corte d’Appello di Venezia, insediata ieri con la «benedizione» del reggente Mario Bazzo, dell’avvocato generale della Repubblica di Venezia, Giancarlo Buonocore e di Paolo Maria Chersevani, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia. Presidente, perché Venezia è una realtà «difficile»?
«Perché il Distretto e la Corte d’Appello soffrono di problemi antichi e strutturali, che per essere superati richiedono il supporto concreto e soprattutto rapido delle istituzioni. Mi riferisco in primo luogo ad un organico gravemente sottodimensionato, che ha determinato negli anni, nonostante l’elevata produttività dei magistrati, un notevole arretrato e la dilatazione della durata dei procedimenti. A cui si aggiunge, nel penale, un’alta percentuale di assoluzioni per prescrizione. Sono il fallimento della giustizia, vanificano il nostro lavoro e i costi sostenuti dallo Stato per celebrare i processi».
Però il ministero ha assegnato al Veneto 29 giudici in più di primo grado e alla Corte altri 5 e 22 ausiliari.
«Sono segnali importanti, di attenzione, ma ai tempi lunghi legati all’arrivo dei nuovi cinque giudici si aggiunge la grave carenza del personale amministrativo, acuita a Venezia dall’elevata scopertura dei ruoli apicali. E correlata ad una pianta organica molto sottodimensionata, perché risale all’epoca in cui il Veneto aveva un’economia prevalentemente agricola ed era terra di emigrazione, non di immigrazione, come oggi. Dei 120 amministrativi in pianta organica quelli effettivamente presenti sono meno di 80, ma soprattutto abbiamo 16 funzionari invece dei 31 previsti, 4 direttori amministrativi e non 7. Ci manca il cervello della struttura amministrativa».
Le conseguenze?
«Un arretrato imponente, perché i flussi in ingresso hanno continuato ad aumentare con una forza lavoro insufficiente. Le cinque unità in arrivo non bastano a colmare un rapporto molto svantaggioso tra sopravvenienze e numero di giudici. Proprio perché i giudici di primo grado sono stati aumentati di 29 unità producono tanto, quindi approda alla Corte una mole di lavoro superiore all’attuale capacità di smaltirla. Le percentuali di appello sono circa un terzo nel penale e un quarto nel civile, quindi penso che con otto, e non cinque, consiglieri
Marini/1 Mancano soprattutto amministra tivi, serve l’aiuto delle istituzioni Marini/2 Si allunga il tempo dei processi. La prescrizione è la nostra sconfitta
in più, potremmo assicurare un buon servizio e raddoppiare i collegi». E il nodo della logistica?
«E’ l’altro problema, amplificato a Venezia dove i trasporti avvengono su acqua. Gli uffici giudiziari sono disseminati sul territorio con disagi per tutti, in particolare per testimoni e avvocati, ma anche per gli operatori di giustizia. Il capo dell’ufficio e il dirigente amministrativo non possono stare vicini a tutti i loro collaboratori, come dovrebbero». C’è qualche segnale che la fa ben sperare? «Un’inversione di tendenza rispetto al passato esiste. Non solo per il citato aumento di giudici ma anche per il progetto di unificare gli uffici giudiziari nella cittadella di piazzale Roma e per la recente convenzione con la Regione inerente il distacco di personale nelle strutture della giustizia. Alcuni interventi vanno potenziati e comunque richiedono tempi lunghi, perciò tocca a noi utilizzare le leve organizzative disponibili per traghettare la Corte in questo periodo transitorio. Con l’aiuto degli avvocati. Consideriamo le difficoltà un’opportunità per modificare il nostro modo di lavorare. E’ difficile, ma se non vogliamo soccombere, dobbiamo cercare di cambiare». Lei ha «regalato» una toga alla Corte d’Appello.
«Era di Guido Raffaelli, presidente di questa Corte dal 1956 al 1961. La indossava nelle cerimonie solenni e la regalò al mio papà, di cui fu il maestro, quando diventò procuratore generale a Milano. L’ho sempre custodita tra i ricordi più cari e oggi la dono a questa Corte, per il valore simbolico che riveste. E’ tornata a casa e può essere d’esempio a tutti gli operatori di giustizia».