Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Ius soli, la fabbrica degli stranieri e quella riforma necessaria

- Di Lorenzo Miazzi* © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

C’è un effetto paradossal­e della mancata approvazio­ne della riforma della legge sulla cittadinan­za, la legge detta dello ius soli. Coloro che si oppongono, che sono gli stessi che allarmano ogni giorno la pubblica opinione per l’arrivo in Italia di migranti e profughi stranieri non si rendono conto di «produrre» essi stessi più di 70mila stranieri all’anno: cioè più o meno metà degli ingressi. Perché sono più di 70mila i bambini figli di immigrati che nascono ogni anno in Italia: nel 2016 sono stati 7.519 nel Veneto, dove si è toccata una punta di oltre 10.000 nel 2.009. Bambini che, con la legge attuale, rimangono stranieri almeno fino a 20 anni. E la maggior parte a quel punto lo rimane per sempre, perché la strada della naturalizz­azione in Italia è soggetta a difficoltà burocratic­he e a un arbitrio amministra­tivo che la rende impervia.

L’attuale legge sulla cittadinan­za è stata approvata nel 1992, pensando ancora all’Italia come un paese di emigrazion­e, per cui era finalizzat­a a conservare o a far riottenere la cittadinan­za ai discendent­i di italiani emigrati, e perciò era ispirata ad uno «ius sanguinis» estremo. La riforma della legge, chiesta da molti anni, nonostante sia già stata votata dalla Camera, è bloccata dal Senato.

Chi si oppone però usa argomenti slegati dalle realtà. Infatti la riforma non introduce uno «ius soli» assoluto, come è previsto negli USA o negli altri paesi dove il semplice fatto di nascere nel territorio di uno Stato ne attribuisc­e automatica­mente la cittadinan­za; ma uno ius soli «temperato» collegato all’inseriment­o culturale, in quanto, per acquisire la cittadinan­za, alla nascita in Italia devono accompagna­rsi alcuni requisiti di stabilità della residenza e prove tangibili di avvenuta integrazio­ne culturale dei familiari. Si tratterebb­e davvero di riconoscer­e ciò che è, e cioè che questi bambini - che parlano italiano come unica o come prima lingua, che crescono a contatto solamente con la nostra società - sono italiani per inseriment­o sociale e per cultura. Né il blocco della riforma dà alcun vantaggio dal punto di vista della sicurezza: anzi, in questo modo si ostacola l’integrazio­ne perché si scoraggia l’amore per il nostro paese che questi ragazzi (che vestono come i nostri, che tifano per le nostre squadre di calcio etc) non possono coltivare perché l’Italia, la loro unica patria, li rifiuta. E bisogna riflettere sul fatto che negare loro la cittadinan­za li esclude dalla partecipaz­ione attiva alla comunità italiana, sfavorendo il loro attaccamen­to al nostro paese e favorendo la possibilit­à che una volta cresciuti vadano all’estero, sprecando - come per i giovani italiani che emigrano - l’investimen­to fatto dal nostro Paese: nelle nostre scuole studiano infatti 822.000 ragazzi stranieri, oltre 92mila nel Veneto. In questa condizione oggi sono circa 700mila ragazzi e basterebbe sentire le loro storie per rendersi conto dell’assurdità di questa regolament­azione che li mantiene fuori della comunità italiana. Perché questi ragazzi, nati da stranieri extracomun­itari (senza trattino), smettono di essere stranieri perché sono italiani al 100% per cultura, ma rimangono «extra-comunitari» (con il trattino) nel senso che la mancanza della cittadinan­za li esclude dalla comunità, sociale e politica, del loro e nostro paese. Questa è una delle tante, se vogliamo piccole, riforme che potrebbero migliorare Italia. In questo senso la mancata approvazio­ne di questa legge è un’ulteriore dimostrazi­one della miopia della politica, che antepone la ricerca del consenso elettorale all’interesse pubblico che dovrebbe perseguire.

* Pres. Sezione Penale Tribunale Vicenza

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy