Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La chimica, gli addii e gli scheletri del Novecento Fra gli atelier resiste chi ha cambiato pelle
Le attività industriali occupano ancora 3600 dipendenti ma si è fatta strada l’«altra» città Con artisti e design
Le torri di Vinyls resistono, ma andranno giù. Metafora della lenta agonia di quello che è stato il più grande polo industriale d’Europa. Una fenice, però, sembra pronta a spiccare il volo. Porto Marghera oggi scorre lenta mentre sgraniamo i numeri. Le attività industriali occupano 3633 lavoratori diretti (10mila con l’indotto). Fincantieri, da sola, ne conta 1000. Secondo la relazione dell’Ente Zona presentata a giugno, le tonnellate di merci movimentate via mare sono 13 milioni, 7 via camion, 2 milioni lungo la pipe-line e 1,5 milioni via ferrovia. L’industria fa ancora la parte del leone, un po’ per peso oggettivo, un po’ per la cosmogonia che porta nomi come Isola della Chimica, via delle Macchine o via dell’Elettricità.
Ecco, proprio al crocevia fra queste due strade, i nomi che evocano un mondo in larga parte perduto accolgono una concentrazione di attività «altre». C’è il MOF, il mercato ortofrutticolo che dopo anni travagliati è sbarcato qui insieme a Gustoclick, un ristorante aperto 7/7 e h24 per i lavoratori ma anche per il popolo della notte (concerti inclusi in alternativa al Molo5. È sufficiente attraversare la strada per imbattersi in un nuovo arrivo, una ditta che produce cosmetici bio. In via della Pila, in un’ex fabbrica di fuochi d’artificio, negli ultimi anni si sono alternati studi d’architettura, di design, e d’artisti, fra cui Francesco Candeloro, Arthur Duff ma anche il curatore della Collezione Peggy Guggenheim Luca Massimo Barbero che ha «traslocato», accanto al designer Luca Nichetto sulla banchina dell’Azoto. Pochi metri più in là le sale prova per le band della scena musicale veneziana e altri atélier d’artista come quello di Michelangelo Penso. Il film al ralenty degli ultimi anni mostra le demolizioni di vere e proprie istituzioni come quella del caprolattame e proiezioni oniriche come la torre di Pierre Cardin evaporate in polemiche infinite sui giornali.
Cosa resta? In un alternarsi senza soluzione di continuità, lo scheletro maestoso degli hangar di via delle Industrie si è fuso nell’immaginario collettivo con le architetture severe di Alutekna e il profilo del Vega. «Una parte della vecchia Marghera entra nel XXI secolo. – dice Gianfranco Bettin, presidente della Municipalità - La mappa del presente è articolata e si deve ripartire dalla semplificazione delle procedure. Pensando ai prossimi cent’anni serve un intervento che tratti Porto Marghera per quello che è sempre stata, una grande questione nazionale». Lungo l’elenco degli addii: Montefibre, Sirma, Dow Chemical. Chi ha cambiato pelle è sopravvissuto. La Raffineria di Venezia nel 2012 pareva prossima alla chiusura ora produce un combustibile unico in Europa distillato da prodotti vegetali, un «nipotino» virtuoso del biodisel. Nel bicchiere mezzo pieno ci finisce Fincantieri che con commesse solide da qui al 2023 ha scongiurato la lotta fratricida con Monfalcone. Si «ricalibra» all’Alcoa dopo aver ridimensionato il ciclo primario di estrazione dell’alluminio. Resistono il cracking, Arkema coi suoi metacrilici per gli schermi degli smartphone e la Solvay. Enel si concentra sulla centrale di Fusina , asset strategico anche per i rifiuti Cdr. Oltre al petrolio di Petroven, Decal e San Marco Petroli c’è il progetto Eni per un terminal Gpl sul vecchio ciclo dell’ammoniaca. Sul tavolo ci sono 107 ettari legati all’accordo fra Comune, Regione e Syndial (e ormai in capo solo al primo) che immettono sul mercato aree disponibili, seppur a macchia di leopardo. Quanto al waterfront per il terziario avanzato, gli scettici fan notare che il Vega non se la passa benissimo e che la teca di vetro vuota del gruppo Marinese non si vende. Un capitolo a parte merita il settore alimentare: Grandi Molini Italiani, il più grande molino d’Europa, ha attivato una centrale a biomassa e la Cereal Docks ha rilevato con 50 milioni il sito della multinazionale Bunge. A volte ritornano: la giapponese Pilkington, dopo aver chiuso il ciclo produttivo e tenuto giusto il magazzino, punta alla riapertura del forno di fusione del vetro. «Il bilancio del presente – commenta Gianluca Palma, direttore dell’Ente Zona – è positivo. La differenziazione delle varie attività economiche presenti fa ben sperare per il futuro. L’unica preoccupazione è che non si ripropongano vecchi schemi. Penso all’accordo sulla chimica, al cloro e così via. Una parte di città ha sempre detto no. La bestia da uccidere era la chimica, ora sono le crociere. Esiste una corrente di pensiero «contro» che rischia di pesare sulle scelte degli investitori. Giocano a favore le infrastrutture, la vicinanza con altre aziende e la sicurezza di un buon sistema di monitoraggio». Un punto su cui si trova d’accordo anche Maurizio Don, storico sindacalista dei Chimici per la Uil (ora nella segreteria nazionale). «Certo, ci sono state le morti per l’amianto e per il CVM – spiega – ma neppure un morto esterno al perimetro del Petrolchimico in un secolo. Merito delle professionalità di chi ci lavora e dei vigili del fuoco in grado di intervenire».
Bettin Il futuro? Soltanto se resterà una questione nazionale Palma L’importante è che non si ripropongano vecchi schemi Possibili investimenti Sul tavolo 107 ettari di aree disponibili legati al patto fra Comune, Regione e Syndial