Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Dal petrolio al bio la svolta di Eni «Più riconversioni»
Ricci: «Oltre la crisi, la strada è l’innovazione»
Eni, da sempre, è sinonimo di Marghera. Da quand’è nato, nel 1953, il colosso del cane a sei zampe si è occupato di chimica, di petroli, ha acquisito terreni, è subentrato ad aziende in dismissione, ne ha chiuse e riconvertite a decine e, sempre, a ogni crisi, politici e sindacati hanno chiamato in causa la multinazionale chiedendone l’intervento per scongiurare il peggio. Sono di Eni i 107 ettari di terreni da trasferire a Comune e Regione per la loro valorizzazione ed è sua la raffineria «bio» dal 2014.
«Le raffinerie di tutta Europa sono diventate depositi e i lavoratori sono rimasti a casa, è successo a 20 impianti italiani e a 5 europei, noi avevamo il dovere morale di esserci: abbiamo studiato ed è nato il primo progetto al mondo di riconversione sostenibile».
Giuseppe Ricci è chief refining & marketing officer di Eni, si occupa cioè della raffinazione del futuro. Molte fabbriche di Porto Marghera sono chiuse, c’è ancora speranza per la zona industriale?
«Quest’anno Marghera compie cent’anni, la nostra raffineria è di poco più giovane (è del 1926, ndr) e la sfida è stata uscire dal cliché della tradizione della chimica di origine fossile e non chiudere. A Porto Marghera la trasformazione è possibile, con l’uso delle professionalità che ci sono e delle tecnologie. È nato
così il progetto di ecorefining, un carburante bio superiore, per qualità, a tutti quelli in commercio e per poterlo produrre abbiamo riconvertito gli impianti».
Tutt’attorno alla raffineria non c’è praticamente più nulla. Il vuoto che vi circonda non fa paura?
«Negli anni ‘60 era diverso, è vero. Noi auspichiamo che arrivino altre riconversioni, sfruttando il know how esistente per produzioni più leggere, in linea con la società contemporanea. Anche sul fronte della chimica (il cracking di Versalis è di Eni, ndr) è in corso una riconversione di questo tipo».
Eni riesce ad investire perché è un colosso, una piccola impresa, che non abbia alle spalle una struttura come la vostra, ce la può fare? «Tutti possono. Bisogna
avere una visione strategica sul lungo periodo, guardare al futuro e, soprattutto, serve coraggio. Eni è un colosso ma non dimentichiamoci che il suo “sottotitolo” è Oil and gas, nasce cioè come azienda del petrolio. Eppure, noi facciamo anche altro e in questo dimostriamo coraggio».
Lo sguardo al futuro, la sfida di rinnovarsi, a Marghera, si scontrano con il problema dei problemi: le bonifiche
«Di disinquinamento ci occupiamo da tempo. Eni, in quanto società pubblica, ha assorbito tantissime, se non tutte, le crisi italiane e la necessità di messa in sicurezza ci ha spinto a promuovere progetti innovativi, cercare professionalità. Syndial ha sviluppato tecniche avanzate e nel depurare le acque arriva a distillarle, rendendole riusabili. E tutto è gestito dalla
centrale operativa di Milano, siamo ben oltre l’Industria 4.0. (ride) A Marghera abbiamo investito 260 milioni e ne spenderemo altri 100 nei prossimi anni». Novità sulla cessione dei vostri 107 ettari in disuso? «Ci sono e sono sempre a disposizione». Marghera vivrà altri cent’anni?
«In assoluto è la domanda più importante. Nel 2014 è nata la bioraffineria come risposta alla crisi ma il mondo cambia e bisogna adattarsi. Produciamo biodiesel da olii esausti, anche fritti e animali. In prospettiva, lo produrremo da alghe e ci stiamo attrezzando alle nuove sfide del mercato». Quali sono?
«La mobilità elettrica sarà sempre più importante ( la Francia metterà al bando entro il 2040 le auto a combustibile fossile, ndr) ma ci sono mezzi che non possono essere alimentati dall’elettricità: gli aerei. In un’ottica di lungo periodo, produrremo jet fuel per aeroplani. Deve essere biocarburante di altissima qualità. Noi lo faremo».
La sfida Marghera può ripartire se si adatta al mondo che cambia Jet fuel Eni, di qui a breve, investirà nello sviluppo di carburante «bio» per gli aeroplani