Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Bocciato, la mia estate tra i tubi»
Lo scrittore Ervas a 16 anni per «punizione» fu mandato a lavorare alla Breda. «La via della seta potrebbe cambiare il baricentro economico»
«APorto Marghera manca un grande romanzo alla Dickens. Un romanzo epico, ambientato fra il ’55 e gli anni ’70, magari un romanzo d’amore per raccontare l’epopea fra chimica e lotte civili». Il sogno è quello di Fulvio Ervas, un figlio del Veneto Orientale che, ben prima di diventare scrittore, in una tarda primavera di inizio anni ’70 prendeva l’autobus alle 5 del mattino da Musile di Piave, per andare a lavorare col padre alla Breda, che oggi si chiama Fincantieri. Alla Breda il «fio», una mascotte, 16 anni appena, ha passato un’estate di 4 mesi a dipingere tubi delle navi in costruzione come esperienza correttiva alla bocciatura al suo terzo anno di liceo scientifico. Un’esperienza che è diventata un racconto nel volume «Porto Marghera – Cent’anni di storie». «Mi emoziono ancora quando passo accanto alle gru del cantiere – ricorda Ervas che ora insegna scienze al liceo Stefanini di Mestre – conservano una poesia assoluta. Diverso l’impatto con gli impianti del Petrolchimico. Di recente, con alcune classi l’abbiamo girato tutto per un progetto di osservazione e recupero ambientale. Le parti dismesse trasmettono un senso di angoscia profonda. La contorsione dei tubi che si rincorrono rimanda all’idea più respingente della chimica». Tubi, Un filo conduttore nella memoria di Ervas. «Era maggio e la mia bocciatura era imminente. Mio padre spalancò la porta della mia camera e disse solo: settimana prossima, Porto Marghera». Insieme ai miei zii e ai miei cugini, papà lavorava alle dipinture delle navi alla Breda. Sono morti quasi tutti di cancro per le esalazioni delle vernici. Per fortuna mio padre è stato risparmiato e ancora oggi, passando vicino alla Fincantieri gli occhi gli si fanno lucidi» ricorda Ervas. Passato e presente che si rincorrono, inestricabili quanto le tubature e le condotte del cracking e del ciclo del cloro. «Temo che i progetti di recupero saranno costosissimi - riflette lo scrittore – a vederlo da dentro, il Petrolchimico appare come una parte in necrosi di Porto Marghera. Certo, poi ci sono i progetti legati al Porto e agli investimenti cinesi per una nuova via della seta che potrebbero cambiare il baricentro economico della città. Non avremmo il Veneto che abbiamo senza Porto Marghera. Guardo con speranza a esperienze come quelle del Vega, incubatore di idee e start up ma è anche una questione di dimensioni, il Vega sta a Porto Marghera come un campetto da calcio sta all’intero rione». Eppure un cambio di passo non è rinviabile: «il territorio si deve risanare, siamo ormai consapevoli che Venezia non può vivere di solo turismo, solo di questo turismo». Riflessioni che non avrebbe fatto l’Ervas appena catapultato in cantiere. «Quello precedente è stato il mio “anno di mona”, non studiavo. Dopo la fabbrica, ho finito il liceo e mi sono laureato in Agronomia come un razzo. Il lavoro ti insegna quant’è prezioso lo studio – conclude Ervas – e mi ha insegnato molto la classe operaia conosciuta lì. Omoni in tuta da saldatori che mi apparivano come i protagonisti di una fucina epica, figli di Vulcano che battevano la lamiera a mano, con la mazza. Io ero il bocia, mi hanno messo a dipingere tubi in un capannone con flemmatici veneziani da poco trasformatisi in mestrini. Potevo solo invidiare gli esperti che si calavano con l’imbracatura a dipingere i doppi fondi delle navi. In mensa, intorno a me e ai più giovani vigeva un codice non scritto per cui non si parlava di malattie o morti sul lavoro. Era la classe operaia che proteggeva i propri figli, quelli per cui si desiderava un destino migliore: studia e diventa un dotor!»
Il racconto L’esperienza di quei pochi mesi è diventata un racconto per i cent’anni del polo