Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
GIUNTE NUOVE DAL SAPORE ANTICO
Chiusa la campagna elettorale amministrativa e celebrati i trionfi di chi ha vinto, subentra l’ora dei programmi e dei proponimenti: generosi gli uni e gli altri, salvo verifica sul campo e del tempo. Su un punto numerosi proponimenti si sono soffermati: sul programma di avvicendare periodicamente gli assessori per impedire che si creino feudi di potere personale; combattere l’attaccamento alla poltrona di comando e creare competenze nuove.
Una novità che sa di antico. Che sia l’eco del vivace intermezzo scambiato avanti alla Corte Costituzionale nella discussione del ricorso vinto dalla Regione sul referendum del prossimo 22 ottobre, quando si dibatté sulla portata dell’articolo 2 dello Statuto che riconosce al «popolo veneto» il diritto all’auto-governo «in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia»? In quella sede prevalse la tesi che, tra le quindici Regioni a statuto ordinario, in virtù di quell’articolo 2 - un unicum assoluto - il Veneto doveva essere considerato una Regione «quasi speciale». In ragione appunto delle consolidate «tradizioni della sua storia». Ben si sa che nella costituzione veneziana tutte le cariche pubbliche (Doge e Procuratori di San Marco esclusi, che peraltro non avevano funzioni esecutive) erano elettive, con durate molto limitate (dai 18 ai 24 mesi) e con assoluto divieto d’immediata rielezione alla stessa carica.
Il che comportava un continuo avvicendamento nella gestione politica delle funzioni, perché l’eletto, pur dotato della miglior buona volontà ma nuovo nella mansione, scadeva di carica proprio quando cominciava a penetrarne i reconditi meccanismi di funzionamento. Qualcuno - ben noto a chi scrive studiando la Costituzione veneziana concluse che proprio questo alla lunga provocò il tracollo della Repubblica, perché normalmente il Politico opera per la rielezione, mentre il Burocrate, ovviamente in pianta stabile, è facilmente portato ad anteporre il proprio comodo allo zelo nell’esercizio della funzione. Piano con gli avvicendamenti, non sono un toccasana. La Repubblica Serenissima n’è morta, e quello studioso ha titolato il suo libro «La Serenissima, una Repubblica Burocratica». Non sarebbe una gran conquista se alla fine degli avvicendamenti si scoprisse d’aver creato un «Comune burocratico».