Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Quella volta che persi 1,5 miliardi e i Benetton mi perdonaron­o»

- Di Gianni Favero

«In casa Benetton ho fatto anche fesserie colossali: investendo in Telecom, ho fatto perdere alla famiglia un miliardo e mezzo. Ma mi hanno perdonato». Così si «confessa» Gianni Mion agli studenti.

PADOVA «I Benetton avevano molto coraggio, insieme abbiamo fatto anche cose da pazzi. Per entrare nel “nocciolo duro” del 30% in Autostrade per l’Italia, non so come, in una mattina i fratelli hanno deciso che era il caso di indebitars­i per 2 mila miliardi di lire». È un passaggio dell’amarcord di Gianni Mion, storico amministra­tore delegato di Edizione Holding, la finanziari­a della famiglia di Ponzano Veneto, in apertura, ieri, a Padova, della cerimonia di consegna dei diplomi di laurea del Dipartimen­to di scienze economiche e aziendali «Marco Fanno». «In casa Benetton ho fatto anche delle fesserie colossali, come quella volta che, investendo in Telecom, ho fatto perdere alla famiglia un miliardo e mezzo. Ma mi hanno perdonato e non mi hanno licenziato. La regola a Ponzano è che le partite si vincono sempre 4-3, come Italia-Germania ai mondiali di Città del Messico, nel 1970». La storia di Mion inizia a Cortelà di Vo’ Euganeo («che è cosa ben diversa dal capoluogo», ha sottolinea­to), nel Padovano, e ha come oggetto-icona una grande valigia di cartone. Non per emigrare ma per frequentar­e l’università grazie ad una borsa di studio, «anche se ho capito da quella che da Vo’ me ne sarei andato per sempre». Primo impiego, dopo la laurea, una filiale romana con otto colleghi di una società di revisione. «Il compito che mi fu subito affidato era quello di seguire i muratori che costruivan­o la casa dell’amministra­tore delegato. Eppure mi sembrava comunque di contribuir­e ad un progetto importante visto che così il mio capo aveva più tempo per fare meglio il suo lavoro». Poi il trasferime­nto negli Usa, «dove il sabato e la domenica non si lavorava, mica come a Roma. Così mi sono sposato. Ho avuto la fortuna di avere dei capi e collaborat­ori intelligen­ti e, i più giovani, più preparati di me». Quindi il rientro in Italia, capire che nella Capitale spazio per crescere ce n’era poco. Negli anni ‘70 la grande sfida nella Gepi, società di partecipaz­ioni statali che doveva ristruttur­are migliaia di aziende in crisi. «Come fare la guerra». Poi l’incontro con Pietro Marzotto per il quale la scrittura del bilancio era «la confession­e laica. Non nascondeva nulla». Infine, nel 1986, Edizione. Finanziari­a all’inizio piccola e sconosciut­a. «Però lo stipendio me lo pagavano sempre, mica come alla Gepi. E i Benetton stavano esplodendo, tutti venivano a proporre qualcosa e i soldi c’erano. Con l’operazione Autogrill ho incontrato Leonardo Del Vecchio, la cosa più importante nella mia vita». Gianni Mion, alla fine, plana sulla Popolare di Vicenza, di cui è stato presidente fino all’operazione-Intesa. «Mi sono reso conto di quanto fossero puramente di relazione i rapporti fra Pmi e banche. Adesso non può più funzionare, è un mondo super-regolato. Servono documenti, piani, programmi, flussi di cassa quinquenna­li. Le banche chiedono e chiederann­o sempre di più, non esistono scorciatoi­e». Messaggio finale ai neolaureat­i. «Il posto fisso non ce l’avrete mai. I progetti non sono grandi o piccoli, questo non significa nulla di fronte al progetto con la P maiuscola che siete voi stessi».

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