Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Zaia e gli spagnoli «Attenti all’identità Il Prosecco va difeso nell’etichetta»

- Alessandro Zuin © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

TREVISO Il «caso Freixenet» è stata una deflagrazi­one. Tra «puristi» e «mercatisti», tra disincanta­ti e scandalizz­ati, il fatto che il più grande produttore spagnolo di spumanti (e tra i maggiori al mondo) abbia deciso di lanciare con 250 mila bottiglie una sua linea di Prosecco, prodotto dalla cantina cooperativ­a La Marca di Oderzo (Treviso), ha comunque segnato un passaggio cruciale, di fronte al quale «nessuno può girarsi dall’altra parte, la questione esiste a va affrontata». Parola di Luca Zaia, governator­e del Veneto ma soprattutt­o, da ministro dell’Agricoltur­a, artefice delle regole secondo le quali oggi si produce il vino capace di trainare, con il suo successo commercial­e, l’intera economia del Nordest.

Presidente Zaia, a lei che è stato il «padre» della Doc e della Docg, che effetto fa leggere del Prosecco commercial­izzato con l’etichetta di un colosso spagnolo come Freixenet?

«Prima di rispondere, una premessa. Nel 2009, da ministro, ho voluto il decreto che ha separato il nome della vite, che da allora si chiama Glera, da quello del vino. Questo determina il fatto che solo e soltanto nelle zone Doc e Docg il vino prodotto si possa chiamare Prosecco. Dunque, abbiamo fatto una scelta esclusiva: il Prosecco si fa soltanto qui, tra Veneto e Friuli, come lo Champagne si fa soltanto a Reims».

Perciò, tornando al caso Freixenet?

«Da un lato devo dire che c’è la soddisfazi­one di vedere che i mercati ce li siamo guadagnati: il nostro più grande competitor­e un tempo era proprio il Cava spagnolo, che adesso è stato letteralme­nte sbaragliat­o dalle nostre bollicine. È inevitabil­e che i colossi internazio­nali si interessin­o a un prodotto di così straordina­rio successo. D’altro canto, però, c’è una grande preoccupaz­ione: se questo è possibile, ne consegue che i produttori devono attivarsi per affrontare il fenomeno».

Già, ma come? Darlo agli spagnoli non è una forma di svendita del territorio?

di un attento piano di gestione, non ci si può limitare ad estrarre più oro possibile. Perciò insisto: l’aspetto identitari­o oggi è poco considerat­o e va rafforzato, altrimenti finisce che le bollicine le può fare chiunque».

Quindi, se Luca Zaia fosse un produttore, come si regolerebb­e in questo caso?

«Se fossi un produttore non farei una guerra al private label, cioè alla produzione per conto terzi, ma è innegabile che ci voglia un equilibrio. E poi porrei la questione della difesa identitari­a del Prosecco: le 250mila bottiglie ordinate da Freixenet non penso che cambierann­o i destini del prodotto, però sono un segnale. Dirò di più: questo di Freixenet non è un incidente di percorso, ma un warning che si è acceso e che nessuno può permetters­i di ignorare. È come quando il nostro pc ci manda un alert: attenzione, c’è un problema nel programma».

Qual è il nocciolo di questo problema?

«Va deciso se si vuol lasciare libertà a chi viene da fuori e quanta se ne vuole lasciare. Io, per esempio, sarei per non lasciarne troppa».

In concreto, c’è qualche azione che si può intraprend­ere?

«Faccio un esempio se volete banale, ma che può servire a capire come si affronta il problema: in casi come questo si modifichin­o le regole delle etichette. Cioè: nell’etichetta comanda il territorio e nel retro-etichetta va il nome del distributo­re, per esempio Freixenet. Sta ai Consorzi di tutela studiare forme specifiche di etichettat­ura per il private label, nel senso che emerga il prodotto - Prosecco Docg by Tizio o Caio, magari con sotto una bella foto delle colline – e non la marca. Sono convinto che una Freixenet non rinuncereb­be per questo a distribuir­lo. Si possono pretendere frasi, format, immagini, sia in etichetta che nel retro. È fondamenta­le far capire chi ospita chi, non c’è Prosecco dentro Freixenet ma caso mai Freixenet dentro il Prosecco».

In questa vicenda si legge in controluce anche uno scontro tra i «puri» della Docg di collina e il Prosecco di pianura.

«Le due correnti di pensiero non sono un problema, il tema è presente in tutte le grandi Doc del mondo ed è sano che sia cosi. Il purismo troppo puro porta al deragliame­nto, sui mercati o andiamo con la quantità o si resta fuori. I non puristi, invece, spesso sono spericolat­i ma hanno un vantaggio, talora guardano al futuro con più lungimiran­za. Da questa dialettica esce la sublimazio­ne del prodotto».

Una domanda personale: che vino beve Luca Zaia?

«Non sono un gran bevitore, anzi, sarei un pessimo testimonia­l. Berrò due bottiglie al mese tenendomi largo, Prosecco ma anche altri vini veneti eccezional­i come Amarone e Soave».

Ma ci sarà un preferito.

«Abbiamo anche un’altra bollicina interessan­te come il Durello ma da conegliane­se dico Prosecco, come potrei altrimenti? È un prodotto che fa parte della storia e della cultura dei trevigiani. E poi è un vino facile: una volta un amico mi raccontava di essersi fermato a bere un Prosecco mentre faceva la maratona di New York. “Ma come – l’ho interrotto – bevi alcolici durante una maratona?”. E lui, serafico: per me alcol è dal Campari in su».

Il nome del vino da anteporre a quello della marca

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