Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Quei professori immaturi e «provoloni»
Nadia Vidale: «La Maturità? Così non serve»
C’è chi «ci prova» con la studentessa, chi non sa insegnare, il finto malato e l’adolescente. Sono i prof raccontati in un libro dalla preside Nadia Vidale.
Professori che civettano con le studentesse, che si fingono malati per non andare al lavoro o che non conoscono neppure la materia che insegnano. E poi ci sono maturandi talmente abituati a copiare da non ricordare neppure ciò che hanno appena scritto, liceali che si presentano alla commissione con la foto di Miss Padania e quelli che all’esame di Stato propongono un elaborato su Marilyn Monroe con citazioni dal libro di Alfonso Signorini.
È il bestiario della scuola veneta, così come emerge da «Il tappeto e la polvere», un divertente pamphlet appena dato alle stampe (per i tipi di Cleup) da Nadia Vidale, preside dell’istituto tecnico «Severi» di Padova. Cento pagine per riflettere su un momento fondamentale della vita di qualunque studente: l’esame di Maturità. E la dirigente lo fa mettendo in fila una serie di aneddoti legati alla sua lunga esperienza, in grado di svelare il livello fantozziano raggiunto – troppo spesso – dal nostro sistema scolastico.
Il prof che si finge malato
Si parte dalla categoria «malati immaginari». Perché l’estate, si sa, è meglio trascorrerla sulla spiaggia che sui banchi: una tentazione che vale anche per i docenti. «L’avvicinarsi dell’inizio degli esami di Stato – scrive Vidale - coincide con la stagione delle piogge dei certificati medici degli insegnanti. (…) Il Ministero della Salute dovrebbe forse promuovere un’indagine sulle patologie che colpiscono a fine primavera, con un picco caratteristico il giorno della prima prova: malattie che sono, per fortuna, di breve durata e si risolvono spontaneamente senza rischio di complicazioni e ricadute, in due giorni. Le malattie, certificate a norma di legge, sono però quasi tutte finte…».
Parte quindi il valzer delle sostituzioni. Nel frattempo il Consiglio di classe decide chi ammettere all’Esame, infilandoci spesso anche studenti che non hanno imparato alcunché: «Nessun candidato della classe sa nulla di grammatica greca, ignoto anche il presente indicativo del verbo “essere”. Tutti stentano a leggere ad alta voce i passi in programma e, appena si chiede loro di tradurli, a fatica azzeccano il punto del testo. Noi, ora, dobbiamo giudicare loro, ma di chi è la responsabilità dell’ignoranza in cui sono stati mantenuti in cinque anni di scuola?».
In sala insegnanti, quando nessun «esterno» può sentire, si creano situazioni imbarazzanti. Ci sono prof che, bocciando qualcuno, temono i ricorsi legali. «Dobbiamo dunque fare uno sforzo: diamo loro un calcio e li buttiamo fuori con un 60», è la proposta fornita ai colleghi. «Più di qualche diploma si ottiene così - confessa la preside - scivolando tra la scorrettezza del consiglio di classe (“Non ha i requisiti ma lo ammettiamo lo stesso”) e della commissione (“Non sa niente perciò diamogli il diploma”)».
La valutazione degli elaborati? Dovrebbe essere collegiale ma il furbetto è sempre dietro l’angolo: «Se ci dividiamo i quesiti e ognuno corregge i propri – propone un professore - la cosa ha più senso e facciamo pure prima».
In cattedra come eterni adolescenti
Ecco come appaiono, agli occhi di una preside, molti docenti veneti: «Capita di imbattersi in figure a vario titolo problematiche, ora per qualche tratto di quella che si chiama debolezza umana, ora per fragilità e la limitatezza della preparazione professionale».
A proposito di debolezze, c’è chi fa il provolone: «Il professore di Scienze dice alla candidata: “Signorina, visti gli occhi che ha, che dice, mi parlerebbe delle stelle?”». E chi preferisce la compagnia dei giovani a quella dei colleghi: «Un collega mi assicura: “Questo professore non è male, ha un sacco di interessi, è intellettualmente provocatorio, insomma, un tipo vivo e istruito. Qualcosa di strano c’è: quando noi ci troviamo tra colleghi non viene mai, ma va a tutte le pizze coi ragazzi!”». Insomma, ammette la Vidale, «capita di incontrare professori confusi: non hanno capito che a loro tocca la parte degli adulti. Adolescenti mai cresciuti, che strizzano l’occhio agli studenti».
Tra gli aneddoti riportati nel libro, quello di una candidata appena eletta reginetta di un concorso di bellezza che sulla scheda personale ha stampato una foto a labbra spalancate e sguardo felino. «Femina feminae lupus», sibila ammaliato un docente. «È una foto porno», ribatte il commissario di Filosofia. La studentessa non sembra capire anche perché, spiega, «la tesina non l’ho mica battuta io, l’ho solo dettata a mia sorella, altrimenti avrei impiegato dei mesi!».
Ma l’estetica, inutile negarlo, ha la sua importanza. Vidale racconta di aver istruito gli alunni: all’esame niente natiche fuori dai pantaloni, cavallo al ginocchio e altre amenità. A sgarrare, però, sono ancora i docenti: «Gli esaminatori: gente che si alza, si sposta, pensa di poter uscire dall’aula mentre il candidato sta parlando, chiacchiera in continuazione con il vicino dei fatti propri…».
«Non facciamo abbastanza»
Anche questa è la scuola. Studenti impreparati, maleducati, che non conoscono l’umiltà, la prudenza. E tanti professori frustrati, indifferenti, incapaci di assumersi parte della responsabilità di quei fallimenti. Sono loro, gli immaturi.
Le (amare) conclusioni della dirigente padovana: «L’esame di Stato rilascia solo un “pezzo di carta” privo di corrispondenza con le capacità, le abilità, le conoscenze realmente possedute dal candidato. Penso che non facciamo abbastanza. Il potere formativo della scuola è enorme, se lo si volesse usare. Ma ci si astiene per timidezza, paura, bontà. Si lima ogni spigolo, come se il successo formativo fosse un diritto e non una conquista».
La preside Nadia Vidale I professori? Capita di imbattersi in figure problematiche, ora per qualche tratto di quella che si chiama debolezza umana, ora per la limitatezza della preparazione