Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La musa del coraggio La poesia di Bracco domina le emozioni
Gemma Bracco misura se stessa di fronte alle sfide più difficili e mette alla prova la sapienza conquistata
Bracco Musa del coraggio non ti sottrai ai balbettii ai lamenti ai sospiri
Non è superfluo interrogarsi sul senso che ha ancora scrivere versi: la tradizione novecentesca ha rapidamente messo da parte qualsiasi tentazione narrativa e poi anche il pretestuoso discorrere su se stessa per denunciarne, con rabbia persino, le servitù che la umiliano, dall’accademismo imitativo a ogni tradizionalismo, consapevole o no.
Alla fin fine la scrittura franta dei versi accoglie con amorevole cura i pensieri che attraversano la mente nei momenti di isolamento e solitudine e subito corrono lontano come le bolle di sapone, nobili forme luminose ed effimere, che finalmente si posano su un verso conquistando una durata che mai avrebbero sperato.
Eppure, questi versi semplici e veri, che trattengono i pensieri malinconici del mattino o del tramonto, quando più forte è il bisogno di qualche bilancio, per quanto temerario, faticano a essere accolti nel Parnaso, trattenuti in una sorta di limbo, quasi che la fragilità e l’inconsistenza di quelle bolle cui accennavamo impedisca loro di ambire al «per sempre» del sublime.
Sono versi femminili suggeriscono severi i custodi del bello, e, in quanto tali, carichi di esperienza e memoria, delle quali non sembrano capaci di liberarsi più leggeri, persino i dirigenti editoriali non sanno bene come stamparli, che veste dar loro, costretti a inventarsene di nuove, senza storia, o, più semplicemente, «fuori collana»: è capitato così anche a Gemma Bracco, che le sue poesie ha ora intitolato La musa del coraggio (Mondadori, pp. 152, € 15,00).
In realtà proprio da quella musa si parte, che «ben piantata sui gambali/ senza una parola si è presentata/ e ha fatto fronte» a un «futuro incerto», un dolore, una paura, cui, al solito, non eravamo pronti, ma i conti in ogni caso pretende di farli dopo averci scombinato la vita: la poesia così riconquista la centralità perduta, ben al di là di ogni consolazione, e diventa la chiave per aprire uno spiraglio - «sono i benedetti grimaldelli/ per uscire dal grigiore» - oltre quel buio dove siamo precipitati e ritrovare un mondo ancora carico di speranza, una natura perennemente vitale.
Bracco non è alle prime armi, anzi durante un quarto di secolo ha pubblicato altre quattro raccolte, nelle quali la natura resiste al centro di ogni riflessione e trova largo spazio Venezia, «Regina della Notte», accarezzata con struggimento, come se solo un velo nascondesse il segreto di una sua possibile dissoluzione e tanto più forte allora si fa il bisogno di ordine e armonia, una vibrante tensione trattenuta, che solo a tratti lascia immaginare l’ansia che la alimenta.
Certo con questa Musa del coraggio Bracco conquista una compiuta maturità, il prepotente dominio delle emozioni: «non tutti ammettono/ di vivere la stessa incertezza/ ma tutti mettono in scena/ maturità e saggezza», «si espone alla luce cruda della vecchiaia/ e delle sue trafitture», «è ferma nel quadrato/ dell’ultima difesa/ affronta a viso aperto/ ogni nuova offesa/ mai si è arresa/ se non al tempo in agguato».
Chi scrive misura se stessa di fronte alle sfide più difficili, mette alla prova la sapienza conquistata, le armi tenute da parte, comprese quelle della poesia: «musa del coraggio non ti sottrai/ ai balbettii ai lamenti/ ai sospiri e alle incredulità/ né mai abbandoni/ chi ti riconosce», e, insomma, ci costringe a guardare intorno e dentro di noi quel che abbiamo perduto, a riconoscerci «in quelle perdute spoglie/ noi stessi inaspriti dai molti anni/ esacerbati...», e alla fin fine ci aiuta con straordinaria forza d’animo e lucidità di pensiero a trovare anche nel confronto col maligno lo spiraglio dal quale intravvedere la luce della verità, il senso della vita, la forza del coraggio: «raduna le sue forze/ per fare da sola/ e salvarsi// salvarsi è la legge”, “la musa a Venezia/ ...sopporta tutto anche l’offesa/ ...dissimula la decadenza».