Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Pressing in Parlamento L’ex governatore Tondo «Quel mio sì per Eluana»
Si riaccende il dibattito. L’ex presidente del Friuli: «La battaglia è incompleta» Mdp: «Parlamento, un errore il ritardo». Ma l’Oic: «Chi decide i limiti?»
VENEZIA Il dibattito per la politica e la società civile non era mai cessato, era solo addormentato in attesa di trovare di nuovo qualcuno per cui combattere. Oggi quelle persone sono Elisa e suo padre Giuseppe che chiede di poterle dare una fine dignitosa. Da quel tragico incidente del 2006, quando aveva 35 anni, è tenuta in vita dalle macchine in una stanza del l’Antica Scuola Santa Maria dei Battuti di Mestre. È in stato vegetativo permanente, non si sveglierà. «Vorrei che venisse fatta una legge — chiede Giuseppe P. —, che ci fosse comprensione per queste condizioni matiche, che non sono vita». Non vuole farne una battaglia personale, ma di civiltà e di principio. Perché, dice, è lo Stato che deve, una volta per tutte, affrontare questo tema un tema.
Renzo Tondo nel 2009 era il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, e accolse Eluana Englaro fino alla morte sopravvenuta per la sospensione dell’accanimento terapeutico. Per un politico di centrodestra (di estrazione socialista) era una decisione quasi controcorrente. «Avevo preso una posizione istituzionale, più che politica — racconta —. Non per esporre un mio parere personale ma fare in modo che Beppino potesse portare a compimento una sentenza e un diritto che gli era stato riconosciuto». Otto anni fa. E oggi l’Italia è ancora ferma a quel punto. «È una battaglia ancora incompleta — continua Tondo —, va registrato con amarezza. Nel centrodestra c’era maggiore difficoltà nel trattare il tema, per questo pur avendo una posizione favorevole avevo mantenuto un dialogo non ideologico. Era un vegetale, non avremmo fatto una cosa buona a lasciarla vivere in quelle condizioni, io non avrei voluto una vita così. Viene prima di tutto la libertà dell’individuo».
Nel centrosinistra i primi a prendere posizione sono stati gli esponenti di Articolo Uno Mdp. «Il caso di Elisa richiama l’urgenza di approvare la legge sul testamento biologico in Senato e riconoscere rapidamente un diritto minimo di civiltà — dichiarano i veneziani Delia Murer e Gianluca Trabucco — quello di poter decidere liberamente se sottoporsi o no a un trattamento sanitario». Approvata alla Camera il 20 aprile, doveva essere votata in Senato martedì ma la discussione è stata rinviata, sommersa da tremila emendamenti: «Sarebbe destinata a un naufragio, un errore grave, che sottrae agli italiani un diritto riconosciuto in tutte le democrazie occidentali, di scegliere e di vivere secondo le proprie convinzioni e non della condanna a subire trattamenti che si vorrebbero rifiutare».
L’associazione Coscioni è già accanto a Giuseppe. «Alla politica il dramma di Elisa non interessa, il biotestamento ne è la dimostrazione, un’attesa infinita — ribadisce Filomena Gallo, segretaria dell’associazione —. Chiediamo un assunzione di responsabilità ad un legislatore che se avesse volontà politica approverebbe immediatamente una legge che gli italiani aspettano da troppo tempo».
Ernesto Burattin, direttore generale dell’Opera Immacolata Concezione di Padova, pone invece una questione diversa. «La nostra Fondazione — spiega — è contro l’accanimento terapeutico ma per la vita. Il nodo che va affrontato è quello della solitudine delle persone in stato vegetativo e delle loro famiglie, perché la vita è relazione, rapporti e collettività». Da loro, precisa, «non si stacca la spina», e aggiunge: «Dobbiamo porci una domanda fondamentale. Qual è il confine, il limite per lasciar morire una persona? Chi può decidere se tenere in vita chi non ha più una propria identità? Il malato di Alzheimer non è più lo stesso, la sua mente è stata rubata dalla degenerazione della malattia, così come il disabile e il malato di Sla. E facciamo attenzione, perché il primo passo origina tutti gli altri». Di ispirazione cattolica, l’Oic ospita 24 stati vegetativi permanenti, alcuni sono lì da oltre dieci anni: «Nella nostra struttura diamo loro la possibilità di stare vicini, incontrare chi vive le stesse difficoltà, accanto ai nostri operatori che sono piccoli e grandi eroi ».
Noi non stacchiamo la spina, aiutiamo pazienti e famiglie evitando loro solitudine e sofferenza