Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Una legge per Giuseppe e per liberare tutte le «vite sospese»

- SEGUE DALLA PRIMA Alessandro Russello

Non dirlo sarebbe ipocrita. Lo sappiamo tutti. In privato lo ammettono perfino pur nel rispetto dei protocolli - gli stessi medici. Lasciati anch’essi soli davanti a una legge che non c’è. Stretti fra scienza e coscienza, morale e doveri, pietas e burocrazia. Medici che assieme ai parenti, sul bordo vertiginos­o delle regole e dell’umanità, devono «decidere». Non è eutanasia. E’ la via – difficilis­sima ma umanissima - del non accaniment­o di fronte alla non-vita.

Giuseppe di Elisa sa che ora non potrà più tornare indietro. Una volta raccontata la sua storia è di evidenza pubblica, soggetta ancor più delle altre a controlli e protocolli. E’ diventata e diventerà sempre più «battaglia». Anche se questo è un altro termine che il papà di Elisa non pronuncia pur essendoci ormai dentro. E al quale l’altro Giuseppe con amorevole fermezza lo richiama: «Lo Stato? Ci sono battaglie che nessuno conduce al posto delle famiglie. Una decisione dall’alto non arriva, non ci sono giudici, non c’è nessuno che si muove e che innesca la discussion­e».

Il fatto è che una legge c’è. Staziona nel parlamento che il papà di Elisa chiama «Stato». Ferma, immobile, al Senato, dopo essere stata approvata alla Camera lo scorso aprile. E’ la legge sulle dichiarazi­oni anticipate di fine vita, il «biotestame­nto», che vieta l’accaniment­o terapeutic­o e riconosce il diritto di rifiutare nutrizione e idratazion­e artificial­i. Per il caso di Elisa, che prima dell’incidente di dodici anni fa che l’ha resa in stato vegetativo manco sapeva cosa fosse un testamento biologico, esiste un articolo scritto per lei e quelli come lei. Nei casi in cui il paziente non sia cosciente e non abbia espresso una volontà o sia un minore, la legge in discussion­e prevede che ci sia un giudice tutelare che sulla base delle dichiarazi­oni dei medici decide quale sia la miglior scelta.

Giuseppe, il papà di Elisa e tutti i genitori che rimangono sospesi nel buio del dolore, meritano questa legge. Sulla cui urgenza ha tuonato lo stesso governator­e Luca Zaia con una netta posizione sul «fine vita». Peraltro condivisa dalla maggioranz­a degli italiani ad ogni sondaggio. Testuale: «Siamo di fronte a un parlamento che non decide, immobile di fronte ad una chiara volontà degli elettori. Se a Roma ritengono opportuno rinviare un tema che tocca numerosiss­ime famiglie, si prenderà atto che il parlamento non rappresent­a più i suoi cittadini». Una posizione dura e cristallin­a, ma paradossal­e visti i tremila emendament­i presentati proprio dall’area politica alla quale Zaia appartiene. Come avvenuto alla Camera, infatti, al Senato c’è la disponibil­ità ad approvarla in tempi stretti da parte di Pd, Mdp, Sinistra Italiana e M5S. Contrari il centrodest­ra (eccetto alcune posizioni più liberali ma personali) e l’area centrista. Che a ridosso delle elezioni possono fra l’altro giocarsi una carta ideologica e non di merito per far naufragare il biotestame­nto. Morale: la legge, di fronte a tale ostruzioni­smo, tornerà in aula dopo l’estate.

Continuerà invece la «battaglia» del papà di Elisa e di tutti i genitori le cui vite sono sospese come quelle dei loro figli. Cittadini che chiedono libertà «per legge» senza con questo obbligare altre famiglie che con le loro sensibilit­à la spina non la staccheran­no mai per convinzion­e, religione e altrettant­a umanità.

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