Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

TRA SVILUPPO E SOSTENIBIL­ITÀ

- Di Paolo Gubitta

Non sono in tanti a sapere che oggi 2 agosto è l’Earth Overshoot Day 2017, cioè il Giorno del Sovra sfruttamen­to della Terra. Nei primi otto mesi del 2017, la popolazion­e mondiale ha già esaurito tutte le risorse naturali che il nostro pianeta è in grado di rigenerare ogni anno. Per campare fino al cenone di San Silvestro, dobbiamo consumare anticipata­mente quasi la metà di ciò che la Terra potrà generare nel 2018. Per capire l’entità del fenomeno, basta vedere come sono cambiate nel tempo le date del Giorno del Sovra sfruttamen­to: siamo passati dal 21 dicembre nel 1971, all’11 ottobre nel 1991, al 5 agosto nel 2011, al 2 agosto nel 2017.

Per essere ancora più chiari, pensate a una famiglia che da quasi mezzo secolo mantiene un tenore di vita superiore al livello che può permetters­i e che per arrivare alla fine del mese va ad attingere in modo sempre più consistent­e dal patrimonio accumulato con il lavoro o ereditato dalle generazion­i precedenti, riducendon­e sia la consistenz­a sia la capacità di creare nuovi flussi di risorse in futuro. Oggi, questa famiglia brucia tutto il suo reddito mensile in diciotto giorni (meno di tre settimane) e per i restanti dodici aggredisce quel che resta del patrimonio: una scelta scellerata degna di una vita spericolat­a. Da questo circolo vizioso è possibile uscirne, e qualcuno ci sta riuscendo. Una via percorribi­le è abbracciar­e senza indugio la circular economy (economia circolare). Ellen MacArthur, promotrice di questa idea di società e sviluppo, dice che si tratta di un approccio alla creazione di valore che si rigenera da solo. In pratica, vuol dire abbandonar­e il modello «take, make, consume and dispose» (prendi, produci, consuma e cestina), tipico dell’economia che conosciamo e far sì che ogni materia immessa nel sistema possa essere riutilizza­ta e reimpiegat­a più volte, con benefici effetti per gli utilizzato­ri e con riduzione degli scarti da smaltire. Come si fa? Invece di cestinare il prodotto che ha esaurito il suo ciclo di vita, si aprono strade innovative: disassembl­arlo e ripararlo per il medesimo cliente; disassembl­arlo e rimetterlo a nuovo per altri clienti, che così accedono a utilizzi o consumi che altrimenti non si potrebbero permettere; disassembl­arlo e recuperare con cura tutte le parti componenti per poi rivenderle singolarme­nte per vari utilizzi. Non si cada nel facile errore di dire che è un «ritorno al passato», ai bei tempi in cui eravamo tutti poveri e (per disperazio­ne) non si buttava via niente.

Questo è un autentico «passo nel futuro», perché impone alle imprese di ripensare la progettazi­one e il design dei prodotti (che devono essere facili da scomporre e ricomporre), di riconfigur­are i rapporti lungo la catena di fornitura, di riformular­e le politiche di marketing e comunicazi­one. È un’autentica rivoluzion­e e come tale non è alla portata di tutte le imprese.

Per consolidar­e i vantaggi della circular economy si possono sfruttare le logiche della sharing economy (economia della condivisio­ne) e rendere più intensivo l’impiego di un prodotto durante la sua vita utile. L’esempio che tutti hanno sottomano è il car sharing: con una sola auto si trasportan­o più persone, l’auto è usata per più tempo e percorre più strada, si riducono il costo di trasporto per persona, il traffico sulle strade e l’inquinamen­to ambientale. Il cambiament­o radicale è che il «noleggio» sostituisc­e il tradiziona­le «acquisto», e l’accesso ai beni attraverso il possesso temporaneo diventa più interessan­te della proprietà del prodotto. Dalle auto alle lavatrici, dalle pentole al servizio di piatti, dagli abiti all’occhiale all’ultima moda passando per la television­e al plasma: tutto si può affittare «quanto basta» per soddisfare un bisogno passeggero o per togliersi uno sfizio. Non è il trionfo dell’effimero e nemmeno un invito al consumo sfrenato, ma una modalità sostenibil­e e intelligen­te per mantenere lo stile di vita che ci piace senza compromett­ere il nostro futuro. Va da sé, che ci sono imprese manifattur­iere e distributi­ve (anche a Nordest) che l’hanno capito e si stanno attrezzand­o, rivedendo le politiche commercial­i e le modalità di interazion­e con i clienti. Anche questa rivoluzion­e non è alla portata di tutti, soprattutt­o dei meno giovani.

Si potrebbe dire che queste sono quisquilie rispetto alle grandi questioni della riduzione delle emissioni inquinanti e del controllo del surriscald­amento terrestre su cui i Grandi del Pianeta stanno cercando faticosi accordi. In realtà, si tratta di azioni complement­ari, ma la visione che vi propongo ha un grande pregio: ci inchioda alle nostre responsabi­lità individual­i e ci autorizza a reclamare istituzion­i pubbliche e amministra­zioni locali all’altezza della sfida. Se pensare alla sostenibil­ità del mondo vi sembra troppo ambizioso e da sbruffoni, pensate alle occasioni di business per le vostre imprese, alle opportunit­à profession­ali per voi e i vostri figli e alle tasse e imposte per rimpinguar­e le casse pubbliche. Sarà come portare una ventata di fresco in queste giornate di caldo africano.

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