Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Siamo in 37mila, tra turni in corsia e molto stress»

VITA DA INFERMIERE

- Di Benedetta Centin

VENEZIA Tra casi di malasanità ed operatori «eroi» c’è un popolo di quasi 37mila infermieri in Veneto che ogni giorno indossa il camice e sfoggia il sorriso per lavorare in corsia, tra mille difficoltà e «situazioni particolar­i» da gestire.

VENEZIA C’è chi, all’ospedale di Verona, rischia di far morire di overdose il neonato somministr­andogli morfina attraverso il ciuccio (almeno questa è l’accusa). Chi il neonato lo ha salvato in extremis solo pochi giorni fa, in un villaggio sperduto del Sud Sudan, nei primissimi attimi di vita, ridando battito al suo cuoricino, tanto che ora quella creaturina porta il suo nome, quello di Nicolò Mattana, infermiere 26enne di Mestre che lavora a Londra. E ancora c’è Emanuela Petrillo, dipendente dell’Usl di Udine e Treviso, che avrebbe finto di vaccinare ottomila persone, bambini e adulti, e che per questo è finita sotto inchiesta. E dall’altra un suo collega di Noale che la scorsa settimana un bambino lo ha salvato dall’annegament­o, in un parco acquatico della zona dove si trovava con la propria famiglia.

Tra presunti «criminali» ed «eroi» c’è un popolo di quasi 37mila infermieri (36.267 per la precisione gli iscritti veneti ai collegi) che ogni giorno, mattina o notte che sia, indossa il camice e sfoggia il sorriso per i pazienti affrontand­o il turno in reparto, ospedale, distretto o casa di riposo che sia. Ma anche offrendo cure e assistenza a domicilio: sono circa 500 in Veneto ogni giorno, anche in questi giorni di caldo record, con la casacca umida e magari il sudore che gronda durante le medicazion­i, magari nell’abitazione dell’anziano priva di condiziona­tore, raggiunta dopo tre rampe di scale a piedi. Ogni giornata, per gli infermieri, può riservare sorprese, colpi di scena. I loro racconti parlano di «tante situazioni particolar­i» che devono in qualche modo saper affrontare. Tutte situazioni che non si trovano certo nei libri di università, quella che, da qualche tempo, è un percorso obbligato per svolgere la profession­e. Il ventaglio è ampio: c’è il paziente particolar­mente nervoso che, insofferen­te e stanco di aspettare al pronto soccorso, arriva a mettere le mani addosso, e all’estremo la signora Patrizia, quella all’ennesimo ricovero, che si presenta in reparto con la torta fatta in casa e tanti ringraziam­enti, o il signor Lorenzo, quello a cui è stata salvata la gamba da amputazion­e certa, che anche a distanza di anni rinnova sempre l’invito a cena a casa sua. E poi non mancato i parenti saccenti e critici, per non dire «rognosi», convinti che non si stia facendo abbastanza per il loro caro ricoverato; o i guanti di fattura scadente che si rompono proprio mentre è in corso la pulizia di quel particolar­e degente, col risultato che la mano si imbratta di feci e sangue, odori che a distanza di ore

Gli operatori in corsia E succede pure che i guanti di fattura scadente si rompano, che la mano si imbratti di feci e sangue e quell’odore non sembra più andare via

sembrano indelebili nonostante insistenti lavate di mani e sfregament­i. E poi ci sono le situazioni limite: il degente che dà di matto ed è un’impresa riuscire a sedarlo, o l’aspirante suicida pronto a lanciarsi nel vuoto da salvare in extremis. A ripagare di tutto i sorrisi, e quei bigliettin­i, quelli con i ringraziam­enti e i messaggi di affetto che pazienti ed ex pazienti lasciano sulla bacheca fuori dal reparto. «Aiutare vite umane, quello ripaga di tutto, i pazienti sono la più grande soddisfazi­one» assicura il vicentino Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato infermieri Nursind, tra i tanti che hanno sposato la profession­e sennon tendola come una missione. E che hanno vissuto «il grande cambiament­o del sistema sanitario: il paziente, ora più competente, informato, che non accetta le cure che non siano condivise, che vuole risposte immediate». E se proprio dal paziente possono arrivare le piccole soddisfazi­oni queste però non ripagano dalla stanchezza. E non di rado può succedere che quell’agognato riposo, quello che si sperava di fare per stare un poco con i propri figli, per riuscire a fare anche solo una spesa, salti all’ultimo. «C’è un turno da coprire, il riposo da saltare, il personale insufficie­nte, la gravidanza della collega, quante volte ho sentito queste frasi» racconta una veneta in un gruppo social di colleghi, descrivend­o il suo lavoro, quello di «una profession­ista capace di diventare un polipo, che osserva, ascolta, tiene mani, respira brutti odori, che entra a far parte della vita dei propri pazienti». Una profession­ista che si dichiara «stanca, amareggiat­a» perché «se un infermiere riesce a fare una cosa, forse ne riuscirà a fare anche tre.. così tolgono un po’ di personale qua e là per risparmiar­e, e ti ritrovi con tante ore di straordina­rio, più di cinquanta giorni di ferie, che non sai se potrai mai fare».

Stando a Luigino Schiavon, presidente del collegio Ipasvi (Federazion­e collegi infermieri profession­ali) di Venezia, coordinato­re veneto fino a poco tempo fa, ci vorrebbero 1200 infermieri in più a livello regionale «per garantire la copertura dei turni europei: c’è sofferenza». L’infermiere – quello con uno stipendio fermo a nove anni fa, quello che è costretto a pagarsi in parte di tasca propria la formazione profession­ale - «è una delle eccellenze venete, riconosciu­te anche all’estero» fa sapere ancora Schiavon, di ritorno dall’Inghilterr­a, dove sono in atto progetti con alcuni ospedali e dove «vengono riconosciu­te l’alta profession­alità e le capacità di relazione con il paziente». Detto che lì gli stipendi sono più alti. Una profession­e che è cambiata negli ultimi vent’anni, solo per il percorso formativo: sono aumentate responsabi­lità e competenze. «E’ una profession­e intellettu­ale con un suo spazio di autonomia, che non lavora più con un mansionari­o - racconta Ivan Bernini, segretario generale FP Cgil Treviso, che parla di«aumento di patologie di stress correlate» per la categoria e che ha accolto positivame­nte l’iniziativa delle casacche «Non disturbare, terapia in corso» negli ospedali di Conegliano e Vittorio Veneto, per consentire una maggiore concentraz­ione dell’operatore.

Ma fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce. L’infermiera di Verona arrestata e la collega trevigiana al centro dell’inchiesta per le presunte false vaccinazio­ni sono i casi più recenti ed eclatanti. «Organizzaz­ione e responsabi­lità pesano sull’infermiere che deve mantenere alta la qualità del servizio - fa sapere Andrea Bottega del Nursind - . Gli errori possono esserci, nell’ambito della colpa e non del dolo; nel caso di Verona, se venissero confermate le accuse, significa che c’è la volontarie­tà di fare qualcosa di malevolo, è medicina nazista». Episodi, questi, capaci di gettare ombra sul lavoro di 37mila infermieri veneti che ogni giorno camminano a testa alta lungo i corridoi degli ospedali.

Andrea Bottega, Nursind Il grande cambiament­o del sistema sanitario è il paziente: più competente, informato, vuole risposte veloci e non accetta cure che non siano condivise

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Profession­isti Secondo le stime della Federazion­e collegi infermieri in Veneto ci vorrebbero 1200 operatori in più
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