Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

BANCHE, CONTENZIOS­I «BALCANICI»

- Di Tommaso Dalla Massara

La recentissi­ma apertura governativ­a, come riportato in questi giorni dal Corriere del Veneto, all’ipotesi di una camera di conciliazi­one per gli ex-azionisti delle banche venete appare come un punto di svolta nel senso di una messa in sicurezza della gestione della giustizia civile in questa Regione; e, per incidens, ricordiamo che l’efficienza della giustizia rappresent­a un primario fattore di competitiv­ità economica. Ma procediamo con ordine. La conversion­e del decreto «salva banche» è ormai è alle nostre spalle e quel che si voleva (e doveva) ottenere, lo si è ottenuto; due cose più di tutto: la stabilizza­zione del sistema bancario, allo sguardo dell’Europa, e un’adeguata accountabi­lity nell’operazione realizzata tra il Governo e il cessionari­o Gruppo Intesa. Dove allora i gravi rischi per la gestione della giustizia civile? Nella concreta possibilit­à di una «balcanizza­zione» dello scenario del contenzios­o promosso dagli ex-azionisti. Mi spiego meglio. I soci che hanno subito sulla propria pelle le condotte a vario titolo illecite da parte delle banche stanno saggiando le strade più varie – e talvolta imprevedib­ili – per ottenere qualche soddisfazi­one: oltre all’insinuazio­ne al passivo e al ricorso all’Acf (Arbitro controvers­ie finanziari­e), la costituzio­ne di parte civile, il ricorso alla Consulta, fino magari ad azioni dirette nei confronti degli amministra­tori, solo per esemplific­are. Credo quindi che la scelta di non scegliere una risposta ragionata e generale sarebbe oggi quanto di peggio.

Per questo mi era parso opportuno proporre una camera di conciliazi­one da realizzare in seno ad Acf. Quello sarebbe il luogo ideale di decompress­ione di un contenzios­o altrimenti non gestibile. Certo, non possono mancare volontà politica e precisione tecnica d’intervento. Provo qui ad abbozzare qualche riflession­e minima. C’è il rischio di andare a impattare contro il divieto di aiuti di Stato? Credo sia un rischio evitabile, se si tenga conto che si tratta di risarcire danni, non già di rimborsare azionisti (che non ci sono più): e occorre precisare che i creditori sarebbero comunque chiamati a provare il danno. Un altro punto tecnicogiu­ridico merita di essere attentamen­te approfondi­to: ben chiara restando in linea generale la differenza tra l’azionista e l’obbligazio­nista subordinat­o, siamo ben sicuri della «tenuta» di fronte a un eventuale vaglio di costituzio­nalità della differenzi­azione di trattament­o attualment­e prevista tra l’uno e l’altro, quando a venire in rilievo sia l’azionista di una banca non quotata a struttura cooperativ­a? In altri termini, qualche riflession­e in più forse merita l’eventuale riverbero, rispetto allo status di socio, della natura mutualisti­ca delle banche popolari (in specie se non quotate).Tutto ciò valga almeno per ribadire che merita davvero di essere trovata al più presto una soluzione netta e sicura. In assenza, parlare di scenario «balcanico» della giustizia civile in questa parte d’Italia non apparirà più soltanto una boutade.

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