Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
BANCHE, CONTENZIOSI «BALCANICI»
La recentissima apertura governativa, come riportato in questi giorni dal Corriere del Veneto, all’ipotesi di una camera di conciliazione per gli ex-azionisti delle banche venete appare come un punto di svolta nel senso di una messa in sicurezza della gestione della giustizia civile in questa Regione; e, per incidens, ricordiamo che l’efficienza della giustizia rappresenta un primario fattore di competitività economica. Ma procediamo con ordine. La conversione del decreto «salva banche» è ormai è alle nostre spalle e quel che si voleva (e doveva) ottenere, lo si è ottenuto; due cose più di tutto: la stabilizzazione del sistema bancario, allo sguardo dell’Europa, e un’adeguata accountability nell’operazione realizzata tra il Governo e il cessionario Gruppo Intesa. Dove allora i gravi rischi per la gestione della giustizia civile? Nella concreta possibilità di una «balcanizzazione» dello scenario del contenzioso promosso dagli ex-azionisti. Mi spiego meglio. I soci che hanno subito sulla propria pelle le condotte a vario titolo illecite da parte delle banche stanno saggiando le strade più varie – e talvolta imprevedibili – per ottenere qualche soddisfazione: oltre all’insinuazione al passivo e al ricorso all’Acf (Arbitro controversie finanziarie), la costituzione di parte civile, il ricorso alla Consulta, fino magari ad azioni dirette nei confronti degli amministratori, solo per esemplificare. Credo quindi che la scelta di non scegliere una risposta ragionata e generale sarebbe oggi quanto di peggio.
Per questo mi era parso opportuno proporre una camera di conciliazione da realizzare in seno ad Acf. Quello sarebbe il luogo ideale di decompressione di un contenzioso altrimenti non gestibile. Certo, non possono mancare volontà politica e precisione tecnica d’intervento. Provo qui ad abbozzare qualche riflessione minima. C’è il rischio di andare a impattare contro il divieto di aiuti di Stato? Credo sia un rischio evitabile, se si tenga conto che si tratta di risarcire danni, non già di rimborsare azionisti (che non ci sono più): e occorre precisare che i creditori sarebbero comunque chiamati a provare il danno. Un altro punto tecnicogiuridico merita di essere attentamente approfondito: ben chiara restando in linea generale la differenza tra l’azionista e l’obbligazionista subordinato, siamo ben sicuri della «tenuta» di fronte a un eventuale vaglio di costituzionalità della differenziazione di trattamento attualmente prevista tra l’uno e l’altro, quando a venire in rilievo sia l’azionista di una banca non quotata a struttura cooperativa? In altri termini, qualche riflessione in più forse merita l’eventuale riverbero, rispetto allo status di socio, della natura mutualistica delle banche popolari (in specie se non quotate).Tutto ciò valga almeno per ribadire che merita davvero di essere trovata al più presto una soluzione netta e sicura. In assenza, parlare di scenario «balcanico» della giustizia civile in questa parte d’Italia non apparirà più soltanto una boutade.