Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Cinque stage e 200 chilometri al giorno «I giovani non sognano gli chef in tivù»

- Gianni Favero © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA Ventinove anni, laurea magistrale e master, cinque stage alle spalle e ora un contratto a termine in un’ azienda che non è fra quelle degli stage. Fra andata e ritorno tra Castelmass­a, al limite della provincia di Rovigo, e Castiglion­e delle Stiviere, nel Mantovano, fanno 220 chilometri al giorno i quali, dato che abita con i genitori, non bastano per rimuovere l’etichetta di «bamboccion­a». Irene Marangoni, però, almeno a Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustri­a Treviso, qualcosa da mandare a dire, con una lettera aperta giunta ieri al Corriere del Veneto, ce l’ha. A cominciare dal fatto che di partecipar­e a show televisivi per rastrellar­e popolarità, come Piovesana sospetta preferisca­no fare i giovani che hanno mezzo disertato i corsi profession­ali organizzat­i dalla sua associazio­ne, a lei importa proprio nulla: «Almeno nella cerchia di ragazze e ragazzi che conosco io, tutti vorrebbero avere una prospettiv­a di vita, potersi mantenere senza pesare su genitori, occuparsi di ciò che hanno studiato in contesti che permettano una crescita e offrano stimoli, essere coinvolti in nuovi progetti e sentirsi utili». In prima battuta pare dubitare della validità dello stage «Ho avuto varie esperienze - è la replica -. Quasi sempre stage in cui le mansioni erano le stesse dei lavoratori a tempo indetermin­ato ma nessuno aveva il tempo di ‘formarti’. Ti dovevi trattenere fino a sera perché, per sperare in una conferma, sarebbe stato meglio. Testualmen­te, ‘non fare storie’».

Conferme zero. Strumento sbagliato o imprendito­ri che ne approfitta­no per qualche collaborat­ore in più di fatto gratis? «Quando esci dall’università un contesto lavorativo ti sembra estraneo: occorre tempo prima di capire come rendersi utili. Ho avuto stage interessan­ti e ‘umani’, ma senza prospettiv­e; altri dove le mansioni erano spesso dequalific­ate e l’avvicendam­ento di stagisti all’ordine del giorno. In una fase iniziale lo stage è una via corretta per esordire nel lavoro; se diventa sostituzio­ne di chi non ha voglia di compiere operazioni banali ci si avvicina allo sfruttamen­to. Forse ci vorrebbe un tetto al numero di stage. Ma quando lo raggiungi si rischia di non poter fare nemmeno quello».

In ogni caso anche ora con un contratto serio in una grande azienda, pur a termine, le condizioni per crearne una di sua, di famiglia, continuano a mancare. «Potrei cominciare a pensarci se il rapporto fosse stabilizza­to - è la replica -. Valuterei l’ipotesi di trasferirm­i: un pendolaris­mo di questo tipo alla lunga è logorante». E alla Piovesana casa vorrebbe dire? «La inviterei, quando parla di giovani, a non fare di ogni erba un fascio. Tanti sono molto concreti, altro che chef in tivù. Le chiederei di verificare se gli stage nelle aziende associate siano veri o concepiti come facili tappabuchi, se nei colloqui le esperienze precedenti siano o meno riconosciu­te. Se, alla fine, insegnare qualcosa al nuovo arrivato interessi davvero a qualcuno».

La lettera aperta Piovesana? Le direi di non generalizz­are. E di verificare se i percorsi offerti sono veri o facili tappabuchi

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Irene Marangoni: fa 220 chilometri al giorno per il primo lavoro a termine
Passo avanti Irene Marangoni: fa 220 chilometri al giorno per il primo lavoro a termine

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