Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Incubi e viaggi della mente sull’isola della realtà virtuale D’Ascenzo
LA MOSTRA DEL CINEMA La nuova sezione «VR» al Lazzaretto Vecchio, accanto al Lido. Una sala con sedie girevoli, visori per «Gomorra» e Laurie Anderson. Baratta: «Uno dei futuri possibili di Venezia»
Il Caronte che vi trasporta dall’altra parte della riva è una navetta messa a disposizione dalla Biennale. Affrettarsi è la parola d’ordine, perché l’esperienza, almeno per quest’anno, è riservata solo agli accreditati della Mostra del Cinema da domani al 5 settembre (modalità sul sito www.labiennale.org). Eppure basta fare un tratto di laguna che passa in un soffio, dalla riva di Corinto, al Lido, all’isola del Lazzaretto Vecchio, per essere trasportati in un futuro distopico, nel quale si è accolti dal passato l’isola un tempo ospitava i malati di peste, poi divenne presidio militare e dai lidensi è conosciuta come l’isola dei cani, perché ospitava quelli abbandonati - attraverso il futuro.
Per sei giorni la Mostra del Cinema di Venezia porta i nostri occhi lontano, nella dimensione della realtà virtuale, che quest’anno, per la prima volta, ha una sua sezione, con un concorso e una giuria, presieduta da John Landis.Nel solco di Cannes, che ha avuto Carne y arena di Alejandro G. Iñárritu (ora alla fondazione Prada), ieri si sono potute vedere le attrazioni che saranno fruibili da domani. Ogni tesa del Lazzaretto Vecchio ospita un’esperienza. Perché la realtà virtuale si può vedere seduti come in un cinema tradizionale con uno smartphone montato in un visore nella dimensione più classica, il VR Theater, una sala da 50 posti con sedie girevoli. Oppure si può vivere con gli Stand Ups, visori più liberi, dove ci si può muovere e indirizzare il film. O ancora con le installations, dove l’identificazione col progetto è ancora più forte. In poco più di un’ora si può diventare Nefertiti in Rebel Queen o volare da una finestra in La camera insabbiata di Laurie Andersen e Hsin-Chien Huang, essere confinati in un letto d’ospedale in Separate Silences di David Wedel, per una ventina di minuti prigionieri dell’incubo di un incidente e di qualcuno che, toccandoti, stimola la tua mente ad andare ai confini col sogno.
Il presidente Paolo Baratta l’ha presentato come uno dei possibili futuri di Venezia, e in effetti al Lazzaretto, come all’Arsenale, si respira l’atmosfera di un luogo gravato dalla storia ma carico di possibilità, dove si intravede che qualcosa potrebbe accadere, solo a volerlo. Il dispiegamento di sponsor e la forza del progetto fanno pensare che questo futuro potrebbe avvicinarsi a noi quanto prima, con la potenza di un mezzo che è cinema, ma è anche installazione d’arte contemporanea, gioco angosciante e il solo limite di spingerci sempre di più verso l’individualismo. Come in Nothing Happens di Uri e Michelle Kranot. Per entrare nel mondo degli autori dove «nulla è accaduto» bisogna togliersi le scarpe e infilarsi dei sandali di gomma nera, mettersi un cappotto dal taglio militare (si può scegliere tra due modelli) e portarsi dietro per il viaggio un sasso che all’inizio non pesa nulla e alla fine diventa insopportabile. Chiudendo gli occhi nel visore, li si riapre sopra un albero che via via si popola di corvi minacciosi, sempre più vicini. Poi li si chiude e li si riapre dal bordo di una fossa, con una serie di personaggi pronti a scrutare le nostre paure. Per aprirli ancora una volta, sull’orlo di un abisso. Più classica ma non meno coinvolgente la visione di Gomorra VR - We Own the Streets, la versione in realtà virtuale della serie ormai conosciuta in tutto il mondo. Lì la guida è Ciro, interpretato da Marco D’Amore, e la sua voglia di farci scendere nell’abisso della camorra, dove il sangue è decisamente più sangue.