Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Su Fb: «vado a 130 all’ora» Alberto il ribelle

Eraclea, fermato diciottenn­e. Sono stati i genitori a fare la strada a ritroso e scoprire l’incidente

- Di E. Dal Bosco

ERACLEA (VENEZIA) L’ha fatta grossa, ma è stato scoperto e denunciato dai genitori. Alberto Cian, diciottenn­e di Eraclea, di ritorno da una serata con gli amici, ubriaco, forse sotto effetto di qualche droga, ha tirato sotto e ucciso un turista. Arrivato a casa aveva detto di aver bucato. Ma papà e mamma non gli hanno creduto tanto che, dopo aver visto come fosse conciata la carrozzeri­a dell’auto, hanno deciso di percorrere al contrario la strada fatta dal figlio. Fino alla scoperta: lungo la provincial­e 90, non lontano da casa, c’era un uomo riverso a terra. Il giovane è stato sottoposto a fermo ed è rinchiuso nel carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia con l’accusa di omicidio stradale, omissione di soccorso e guida in stato di ebbrezza.

«Quando è tornato a casa sembrava preoccupat­o — racconta la sorella di Alberto —. Si era reso conto di aver fatto dei danni alla macchina, ma non aveva l’aria di uno che l’avesse combinata grossa e nemmeno ha accennato alla possibilit­à di aver fatto male a qualcuno». Il giovane ha preso la patente appena qualche mese fa, eppure è risultato positivo all’alcoltest e dai primi accertamen­ti sembra abbia assunto cannabinoi­di (gli esiti degli esami arriverann­o oggi). Al volante dell’Opel Corsa della madre, ha falciato un ciclista sloveno di 75 anni, Egon Kase. L’uomo stava trascorren­do le vacanze con la famiglia nel campeggio «San Francesco» di Duna Verde, nella vicina Caorle. La sua famiglia è stata svegliata alle prime ore del mattino con una notizia drammatica. Kase era uscito per un giro in bicicletta, come faceva spesso, ma ieri non è tornato in campeggio. La violenza dell’impatto con la Opel, che lo ha fatto sbalzare sull’asfalto, non gli ha lasciato scampo e ciò induce gli investigat­ori a pensare che fosse difficile non accorgersi di aver investito una persona.

Ma su questo versante sono ancora in corso le indagini. «Forse Alberto è tornato a casa per lo choc o magari per un’amnesia momentanea. Non saprei — azzarda la sorella — l’ho sentito parlare con mamma e papà e sembrava che non si ricordasse niente. Anche se mi guardava con l’espression­e sconvolta». Solo più tardi una passante ha notato il corpo del turista senza vita e ha chiamato un’ambulanza e i carabinier­i, che hanno cominciato i rilievi. Gli investigat­ori hanno raccolto i pezzi di carrozzeri­a dall’asfalto per provare a dare un volto e un nome al pirata. Proprio in quegli attimi una macchina ha accostato nelle vicinanze. Una coppia è scesa: erano i genitori di Alberto.

«Cosa è successo? — hanno chiesto ai militari —. Nostro figlio è tornato a casa poco fa con l’auto danneggiat­a». «Mamma e papà, dopo aver controllat­o la Opel, hanno capito che Alberto non poteva aver solo bucato — aggiunge la sorella del ragazzo —. La paura era che potesse aver procurato del male a qualcuno, così hanno fatto un giro. Hanno pensato: se c’è qualcosa, ammettiamo la nostra colpa come è giusto che sia». E così hanno fatto: hanno accompagna­to da Alberto i carabinier­i della compagnia di San Donà, diretti dal comandante Dario Russo. Il diciannove­nne non ha cercato in alcun modo di giustifica­rsi quando i militari hanno bussato alla porta. Sapeva che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla e che sarebbero arrivati. Aveva lo stesso sguardo assente di quando era rientrato, l’atteggiame­nto nervoso: Alberto ha capito che non c’era scampo.

Ieri notte forse stava rientrando da una serata trascorsa insieme agli amici. Era passata circa un’ora dall’incidente, avvenuto tra le 5 e le 6 del mattino, quando ha aperto la porta di casa ai militari. Un fanalino rotto e altri pezzi di carrozzeri­a lo hanno incastrato e il giovane, su disposizio­ne del pm della Procura di Venezia Elisabetta Spigarelli, è stato fermato. È stato portato in caserma, dove ha trascorso le prime ore della mattinata, prima di essere accompagna­to in carcere. La sua posizione è al vaglio della magistratu­ra e il suo avvocato, Alessia Cavezzan, per il momento ha deciso di non esporsi. «Ci dispiace enormement­e per quello che è successo — conclude la sorella —. Sentiamo il dolore che provano i familiari della vittima. Penso se fosse un mio parente o un mio conoscente. La situazione è molto delicata, noi siamo una famiglia normale, questa è una cosa troppo grande».

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In cella Alberto Cian, 18 anni, è detenuto nel carcere di Venezia

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